domenica 4 gennaio 2015

The Case of the Seven of Calvary (Il caso del sette del calvario, 1937) - Anthony Boucher


William Anthony Parker White, in arte Anthony Boucher, è una di quelle figure che segnano un'epoca. Un uomo rinascimentale, lo ha definito Frederic Dannay, un intellettuale a 360 gradi: meraviglioso linguista (antiche o moderne non fa differenza), traduttore, romanziere e soprattutto critico letterario, la presenza di Boucher negli anni Trenta e Quaranta del Novecento ben spiega perché quelli erano gli anni della Golden Age, mentre adesso..beh, lasciamo perdere.
Boucher è stato probabilmente il più grande recensore e critico di narrativa poliziesca (e fantastica) del secolo scorso: «non c'è quasi autore - compresi quelli che esordivano in paperback ed erano quasi sempre ignorati dalla critica ufficiale (David Goodis, Charles Williams, Jim Thompson, etc) - che non debba qualcosa all'ampiezza dei suoi gusti e all'autorevolezza delle sue segnalazioni, così come non c'è quasi ristampa in edizione tascabile di libri apparsi fino al 1968 e che siano in qualche modo significativi (non importa se di autori maggiori o no) che non rechi, magari condensata in due righe stralciate da una recensione o in una breve presentazione, l'impronta della sua inconfondibile griffe» (Mauro Boncompagni).
In breve, la firma di Anthony Boucher ha segnato il Novecento, sia come critico che come romanziere. Tra il 1937 e il 1942 ha pubblicato sette romanzi e svariati racconti che appartengono alla grande Golden Age del romanzo poliziesco, quando gli autori erano fini intellettuali e uomini di cultura, la cui lezione - tecnica, stilistica, umana - non morirà mai.
Boucher esordisce nel 1937, a soli 26 anni, con The Case of the Seven of Calvary, un delizioso giallo di ambientazione accademica, un mystery concepito per gli appassionati di polizieschi, scritto con sopraffina eleganza e raffinatezza, che ancora oggi regge benissimo alle intemperie del tempo.
A Berkeley, università della California, la piacevole vita da college viene rotta da alcuni misteriosi delitti sui quali indagherà, del tutto spassionatamente e comodamente in poltrona, il dottor John Ashwin, professore di sanscrito, ragguagliato di volta in volta dallo studente Martin Lamb, Watson di turno, narratore del romanzo e alter-ego di Boucher.
Tra rimandi queeniani (una accattivante e lealissima sfida al lettore, la presenza di una bizzarra setta religiosa che richiama quella di The Egyptian Cross Mystery, 1932), continue citazioni (Conan Doyle, Wallace, il «mai abbastanza lodato John Dickson Carr») e toni da divertissement, Boucher dispensa la sua enorme cultura riempiendo di magistrale ironia e umorismo una storia poliziesca di primissimo ordine, ben costruita, disseminata di indizi astuti e intriganti, che si conclude in modo sorprendente. 
Ispirato al professor Arthur William Ryder, Ashwin possiede tutte le caratteristiche del vero intellettuale, dalla cultura sterminata e dai gusti ecumenici, che svariano in ogni ambito dell'umano sapere, fino, ovviamente, alla letteratura poliziesca, di cui è un grande appassionato. I ragionamenti di Ashwin sono eccellenti, e dimostrano una notevole proprietà di linguaggio logico. Le discussioni con Martin sul genere poliziesco e sui grandi autori, da Dickens a Carr, sono delle chicche di erudizione e fine umorismo; le digressioni (sul sanscrito o il teatro) non sono mai banali né noiose, e rendono la narrazione ancora più piacevole e garbata.
Un uomo d'altri tempi Anthony Boucher, uno scrittore e critico d'altri tempi, di quelli che oggi si vedono con il lumicino.
in Italia è stato pubblicato da Polillo e Mondadori (col titolo Tre volte sette). Traduce Delio Zinoni.

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