Stanislas A. Steeman è uno scrittore poco conosciuto, oggi, al di fuori dei paesi francofoni. Questo è il triste destino di tutti gli autori anni Trenta di lingua francese che non si chiamano George Simenon.
Ed è un peccato, perché Steeman è stato uno dei grandi rivoluzionari del romanzo poliziesco, dotato di grande immaginazione, abilità narrativa e senso dello spettacolo. Le sue trovate, spesso geniali, hanno influenzato autori insospettabili, su tutti Agatha Christie.
Nato a Liegi, nel 1908, è stato giornalista, prima che scrittore a tempo pieno, inizialmente in coppia con Herman Sartini, poi da solo. L'esordio, con Le Mystère du Zoo d'Anvers (1928), è una sorta di divertissement, mentre il primo romanzo degno di nota è Péril (1930).
Questo Six Hommes Morts, pubblicato nel 1931, è importante per svariate ragioni. Innanzitutto perché vede l'esordio del personaggio più famoso di Steeman, l'investigatore Wenceslas Vorobeitchik (M. Wens); in secondo luogo perché è il romanzo con cui vinse il Prix du Roman D'aventures, nel 1931, a soli 23 anni.
Soprattutto però, con quest'opera Steeman fece scuola: sei amici, giovani e senza un soldo, decidono di espatriare per cercare fortuna, concedendosi cinque anni di tempo per diventare ricchi. Al loro ritorno, il giorno prestabilito, si dovranno spartire il denaro accumulato in perfette parti uguali. Quando ciò avviene, però, sono costretti a fare i conti con uno spietato assassino che ha giurato di ucciderli tutti. E sembra agire come un killer invisibile.
L'intreccio è ingegnoso e in anticipo sui tempi: sarà di lezione per Boileau (Six crimes sans Assassin) e soprattutto per Agatha Christie (Ten Little Indians), che conosceva perfettamente l'opera di Steeman (nonostante, che io sappia, non avesse una eccellente conoscenza del francese).
Come detto, Steeman era molto giovane, e i difetti dell'opera, tanto strutturali quanto tecnici, sono evidenti: il personaggio di Wens, misogino, bizzarro e a tratti miope, è poco caratterizzato, le meccaniche dei delitti non sono sempre chiare (in particolare il secondo, quello in ascensore), e soprattutto il modo in cui l'assassino sarebbe dovuto, alla fine, tornare in possesso dell'eredità, nel caso il suo piano fosse riuscito, è difficilmente credibile.
La storia, come capita a volte in alcuni scrittori francesi, è molto lineare, del tutto priva di subplots, quindi più funzionale per un racconto che per un romanzo (anche se, va detto, il testo è molto breve). La soluzione, e quindi l'identità del colpevole, è oggi davvero prevedibile, ma all'epoca doveva apparire come un geniale colpo di scena.
Nonostante i difetti, il romanzo si legge ancora oggi con grande piacere, e conoscere la soluzione dopo poche pagine non rovina la suspense, in cui Steeman era un vero maestro.
Nel complesso, un'opera decisamente naïf, con qualche ingenuità nella costruzione e dei personaggi tratteggiati con eccessiva approssimazione, ma dotata di ottimo senso del ritmo e inventiva.
In Italia è stato tradotto da Aldo Albani nella collana Pagotto, con il titolo Sei uomini morti, e da Igor Longo, per Mondadori, pubblicato nel 1999 come Il patto dei sei.
Da leggere, in particolare se si ha voglia di comprendere l'importanza di questi autori nell'evoluzione del romanzo poliziesco.
Ciao Stefano, nota davvero molto interessante, come le altre che sto leggendo. Il tuo blog è stato una scoperta, complimenti!
RispondiEliminaGiulio Leoni.
Il suo intervento è un vero onore per me, grazie!
RispondiEliminaCercando un po' si può trovare qualche pezzo su Carr (anche l'articolo in cui "pubblicizzo" - si fa per dire - la mia tesi). Spero possa trovarli interessanti.
È inusuale e perciò davvero piacevole trovare scrittori italiani che conoscono molto bene la storia di questo splendido genere letterario e non tendono a trincerarsi dietro la parola "noir" per screditare il mystery (collezionando brutte figure).
Grazie ancora!
Stefano
Hi thanks for ssharing this
RispondiElimina