Ruby C. Ashby, originaria dello Yorkshire, è una scrittrice di indubbio fascino, anche se oggi quasi del tutto dimenticata. Colpevolmente, perché il suo ruolo nell'evoluzione del mystery è tutt'altro che secondario.
Dotata di grande cultura e raffinatezza, ha all'attivo otto romanzi polizieschi, scritti in piena Golden Age, tra il 1926 e il 1934. Nelle sue pagine, mystery e gotico si mescolano con mano estremamente sapiente, spesso sovrapponendosi: la Ashby ricorre con frequenza a tutti i tipici caratteri della letteratura dell’orrore, tra dimore solitarie e inquietanti, notti tempestose e lande desolate, fosche leggende e rovine pagane, in cui spesso si materializzano delitti “per magia”, come quello che campeggia nel suo romanzo più famoso, He Arrived at Dusk (1933), all’interno del quale l’autrice descrive la strana leggenda del fantasma di un sanguinario centurione romano che infesta un antico torrione in rovina che nessuno, ovviamente, ha più voglia di visitare.
Appena pubblicato e riscoperto in Italia da Polillo, che lo ha proposto con il titolo La rocca maledetta, questo romanzo colpisce per maturità stilistica, abilità nel costruire un solido intreccio, capacità nel presentare personaggi sfaccettati e interessanti, ricreando un clima meravigliosamente evocativo.
L'opera è divisa in tre distinte parti, narrate da tre personaggi differenti: nella prima, decisamente la più riuscita, William Mertoun racconta della propria incredibile esperienza accadutagli nella vecchia dimora del colonnello Barr, che lo aveva chiamato per catalogare la propria sterminata biblioteca. In queste sperdute, gelide e nebbiose lande del Northumberland infatti, si muove un misterioso fantasma disposto a tutto pur di sterminare la famiglia Barr, e sembra riuscirci. La seconda parte è invece raccontata dal giovane Hamlet: scritta sotto forma di diario di bordo, intreccia la sezione precedente, chiarendo alcuni punti e portando la storia alla sua fase successiva. Nella terza, alla fine, l'enigma verrà sciolto, non senza qualche pagina di troppo.
Contemporaneamente a Carr e ben prima di Talbot, la Ashby mostra le affinità tra gotico e mystery, ne sonda le potenzialità e i limiti, giungendo ad un risultato mirabile: l'atmosfera che si respira sin dalla prima pagina è eccezionalmente vivida e, pur rinunciando quasi del tutto all'elemento violento, la scrittrice dona al lettore più di un brivido. La storia è ben architettata e sviluppata con astuzia, non mancano alcuni indizi interessanti e una palpabile tensione narrativa.
Parlare di misdirection è forse eccessivo (l'identità dell'assassino non è così sorprendente), ed alcune forzature nella soluzione vengono alla luce, ma non incidono molto in un romanzo che, tra venature romantiche, gotiche e detection (pur mancando una vera figura investigativa), appare un gioiello. Un piccolo capolavoro lo ha definito J.F. Norris su mysteryfile, che anticipa di molto Rebecca della Du Maurier per questo sapiente utilizzo di un narratore spaventato da eventi apparentemente illogici e per questo a volte incapace di interpretare le cose nel modo corretto.
La Ashby scrive divinamente, e i suoi scritti sono tanto vivi e affascinanti quanto sottovalutati, come quelli di tutti coloro che sono difficili da collocare e categorizzare. E nella grande Golden Age, di questi autori ce ne sono tantissimi. Poco sangue, tanta classe.
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