venerdì 15 agosto 2014

The Maze (Persons Unknown, Il labirinto, 1932) - Philip MacDonald



Philip MacDonald, uno dei grandi rivoluzionari del poliziesco anglosassone, ha sperimentato ogni angolatura del mystery, ne ha scandagliato gli schemi per innovarne le strutture chiave e le consuetudini. 
Abbiamo già parlato di lui nel post dedicato al suo esordio, The Rasp (Campana a morto, 1924). Con questo The Maze, conosciuto anche come Persons Unknown, pubblicato nel 1932, lo scrittore inglese porta alle estreme conseguenze il palinsesto del whodunit, che arriva ad una sorta di punto di non ritorno. Il romanzo a enigma, basato sul puzzle e sul gioco leale tra lettore e scrittore, diviene ludico intrattenimento, per una sfida al lettore totalizzante ed eccitante. Non ci sono abbellimenti stilistici in questo romanzo, né descrizioni o caratterizzazioni dei personaggi, ma solamente l’intera serie di deposizioni in tribunale, la nuda e cruda versione dei fatti, esposta progressivamente dalle varie parti in causa. Nell'introduzione dice:
«Ho dato a questo libro il sottotitolo di un esercizio di investigazione. Ho voluto usare la parola esercizio deliberatamente , volendo intendere con ciò un'esercitazione non solo da parte mia, ma anche da parte di qualunque lettore che abbia la costanza di arrivare fino in fondo. Nelle parti seconda, terza e quarta del libro [...] sono contenute tutte le informazioni su cui Gethryn ha lavorato in seguito». 
Mai come in questo caso il lettore si trova sullo stesso piano dell’investigatore, un Gethryn vacanziero, a cui viene spedito l’intero riassunto delle deposizioni, nella speranza che lui possa trovare qualcosa dove gli altri vedono solo del buio. MacDonald critica aspramente «i libri in cui l'investigatore può avere un ingiusto vantaggio su chi legge [...] Questa è una storia leale», scrive.
L’intreccio, semplice e lineare, rispetta tutti i canoni della detection classica: Maxwell Brunton, fascinoso uomo d'affari ma dal carattere piuttosto complicato, viene ritrovato cadavere nel suo studio, ucciso con un'arma contundente, probabilmente a seguito di un litigio. La maggior parte degli ospiti della casa aveva un valido movente per uccidere: il segretario e il maggiordomo testimoniano gli screzi familiari, la moglie la sua continua infedeltà coniugale, la cameriera ammette di aver visto l'amica della moglie di Brunton entrare nello studio della vittima durante la notte. Ma Brunton era anche molto ricco e i suoi soldi potevano far gola a tanti..


In questo romanzo-rompicapo abbondano, come vuole la tradizione, sospettati, indizi, false piste, testimonianze vere e fasulle, ma nonostante l’apparente lentezza, il sublime senso del ritmo di MacDonald rende la narrazione leggerissima, scorrevole e incalzante, come se esistesse una sottile e impercettibile variazione di tono che solo lo scrittore inglese è in grado di ricreare. 
Negli anni del Cluedo, dei giochi in scatola e del romanzo-cruciverba (come era definito dai suoi detrattori), MacDonald sceglie di mostrare cosa sia davvero il puro rompicapo enigmistico applicato ad un testo letterario: un appassionante indovinello che stuzzica la mente di ogni lettore, un enorme labirinto da cui si tenta di fuggire, con in premio, magari, la soddisfazione di arrivare alla soluzione prima di tutti. 
Non sono molte le falle concrete nelle testimonianze dei personaggi, e bisogna stare molto accorti per riuscire a individuare la crepa fondamentale. A partire da ciò si sviluppa l’ottima ragionamento analitico di Gethryn, che fondando le proprie deduzioni sulle quattro stranezze della vicenda, individua l’identità dell’assassino, nonostante le prove per incastrarlo non esistano. 
Non mancano alcune forzature psicologiche del detective (soprattutto riguardo i comportamenti umani, di vandiniana memoria) ma nel complesso il gioco è perfettamente leale, e la soluzione di grande spettacolarità. 
The Maze è la maggior espressione del whodunit come puro godimento intellettuale, come gioco ad armi pari. Ed è un piacevole invito agli scrittori del tempo a mischiare nuovamente le carte, a ribaltare gli schemi, a muovere le pedine, per andare avanti.
In Italia è stato tradotto da Marilena Caselli, e pubblicato il 7 dicembre 1993, nel numero 701 dei Classici del Giallo Mondadori.

4 commenti:

  1. Stefano

    Grazie per questo inaspettato regalo di Ferragosto!

    Ci sarà un articolo futuro su "Fine di un sogno" sempre di MacDonald?

    Ciao

    Paola

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  2. Ciao Paola e grazie!
    Non ho in programma di scrivere subito un altro pezzo sul grande MacDonald, però il prossimo che metterò su di lui sarà sul racconto ;)

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  3. Prima o poi dedicherò sul mio blog un articolo a questo romanzo, ma prima mi occuperò di un MacDonald non Mondadori che ho scovato recentemente. Ti invito però a riflettere sul valore dell'opera, non come romanzo, ma come studio applicato: ho l'impressione che Philip MacDonald volesse non esaltare ma prendere un po' per il culo il Whodunnit. E' come se scrivendo, non credesse fino in fondo nell'opera che stava scrivendo, ma la buttasse giù per far riflettere su alcune cose.

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  4. Sinceramente, anche a una seconda lettura, non ho avuto l'impressione di un secondo fine parodico. Credo sia stato un esercizio letterario, questo si, ma se si fosse preso gioco del whodunit (alla cui causa continua ad apportare testi), mi sarei aspettato un finale diverso, magari più ambiguo. Vero è che alcuni elementi possono apparire bizzarri (l'atteggiamento di Gethryn verso "la sguattera" è quantomeno crudele), ma il romanzo mi è sempre sembrato niente altro che un gioco. Alla fine l'intreccio mi sembra piuttosto ben costruito, e non ho trovato incongruenze o buchi di sceneggiatura. Perché pensi il contrario?

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