sabato 12 luglio 2014

Il Canone Holmesiano - Parte 1


Gli scritti di Sir Arthur Conan Doyle con protagonisti Sherlock Holmes e il dottor Watson sono di gran lunga il prodotto più importante in lingua inglese per la narrativa poliziesca prima del periodo Golden Age. Ovviamente è piuttosto scontato che senza i trionfi di Dupin firmati Edgar Allan Poe Holmes difficilmente sarebbe nato. Per quanto si sforzi sin da subito di minimizzare la figura del francese - e quindi quella del suo creatore - Conan Doyle deve sostanzialmente tutto al suo Maestro. 
Ma, nonostante tutto, la distanza che separa i due autori è enorme. I trionfi deduttivi di Dupin e la fluidità dei suoi ragionamenti sono qualcosa di inarrivabile se confrontati alle banali abduzioni - o induzioni, o quello che si vuole - di Holmes, il cui margine di errore non esiste solamente perché il suo mondo è ipercodificato e perciò privo di macchie. Conan Doyle è un buon costruttore di enigmi, le sue trame sono ancora piacevoli, ma questo non rappresenta di certo il suo punto di forza. Egli è soprattutto un sublime narratore, capace di muoversi egregiamente nei meandri di vari generi letterari - i suoi racconti dell'orrore sono dei gioielli - e abile nel rendere godibile anche la lista della spesa. 
Negli anni la critica, spesso non trovando le parole per descriverne l'immensa fortuna, ha cercato di schernirne la prosa, definendola mediocre e studiando paragoni arditi. Pensiamo a Gramsci, ma ancora a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che in suo breve saggio lo paragonò a Chesterton. Con ovvi risultati.
Il creatore di Holmes è invece un eccellente narratore; le sue storie sono "avventure", non esercizi di raziocinio, piene di pathos, espedienti sensazionalistici e grande ritmo. Conan Doyle dà il meglio di sé quando si libera dei panni del giallista, quando regala storie commoventi come quella di Uno studio in rosso oppure quando riesce a ricreare ambienti e situazioni con insuperabile maestria.
Se c'è una cosa che sorprende è la qualità media delle sue storie, sempre vive e palpitanti. Quest'uomo non va certo letto solamente come un autore di polizieschi, altrimenti se ne farebbe un torto.
Il corpus holmesiano è conosciuto da tutti: 4 romanzi e 56 racconti, tutti comparsi sullo Strand Magazine. Un'opera grandiosa, che cercherò di esporre come segue, dividendola in diverse parti.



A Study in Scarlet (Uno studio in rosso, 1887)

Il primo romanzo pubblicato da Conan Doyle nel 1887 è generalmente considerato con un'opera minore. Si tende spesso a definirla una sorta di esperimento, con tanto di introduzione dei personaggi principali, per le prove maggiormente riuscite: The Sign of the Four (Il segno dei quattro, 1890) e soprattutto i primi racconti. In realtà Uno studio in rosso è tutt'altro che un romanzo mal riuscito. Si tende eccessivamente a concentrarsi sullo sbilanciamento strutturale caratterizzato da due parti troppo slegate e troppo diverse. Per certi versi questo è corretto: tutti sanno che la prima parte è dedicata alla storia poliziesca, al delitto e all'indagine di Holmes, mentre la seconda è caratterizzata da un'avventura tra i mormoni che spiega il movente dell'assassinio. 
Ma nonostante questo la storia coinvolge, appassiona. Non certo la fase poliziesca, rozza e convenzionale anche al tempo, che interessa solo per la descrizione di Holmes e delle sue idiosincrasie. L'enigma è piuttosto banale e poco interessa chi ha ucciso la vittima e per quale motivo ha scritto la parola Rache sul muro con del sangue. La soluzione di tutto, infine, è debole e la detection di Holmes esageratamente rapida. Non che sia sgradevole, ma la seconda parte è decisamente più convincente: la storia che mostra le pieghe di un uomo in cerca di vendetta e giustizia è a tratti commovente e l'autore, libero da vincoli tecnici e deduttivi, esprime tutto il suo talento narrativo. 
In definitiva, a mio parere, l'esordio è positivo e promettente, anche perché la storia poliziesca resta poco più lunga di un racconto. Il problema sorge nel momento in cui Conan Doyle decide di costruire un palinsesto romanzesco meglio strutturato e non diviso in due parti: ne verrà fuori quel mezzo disastro che è Il segno dei quattro.




The Sign of the Four (Il segno dei quattro, 1890)

Chi ha letto questo romanzo sa bene quanto l'intreccio sia più elaborato, quanto i personaggi siano meglio delineati e, in generale, quanto l'autore cerchi insistentemente di alzare l'asticella qualitativa rispetto all'opera precedente. Ma questo romanzo, considerato dai fan tra i migliori Holmes di sempre, è a mio parere uno dei più deboli dell'intero canone. 
I primi capitoli, però, colpiscono: la discussione tra Watson e Holmes sul tema della droga, di cui l'investigatore fa uso nei momenti di stallo intellettuale ("aborro la monotonia dell'esistenza", dice) è interessante, così come è divertente l'accenno alle svariate monografie scritte da Holmes sui temi più assurdi. 
Ma nel complesso è in questo romanzo che tutti i limiti - enormi - dell'autore in campo giallistico vengono fuori: Conan Doyle allunga disperatamente la storia per cercare di renderla complessa ma non fa altro che insistere su situazioni ed espedienti inutili, in modo da far evaporare ben presto qualsiasi tensione narrativa. La storia d'amore tra Watson e Mary (con tanto dichiarazione finale) è francamente indigeribile, ma anche i valori morali espressi dai cattivi di turno mostrano crudamente tutta la loro inverosimiglianza. A ciò si aggiungono una ottusità della polizia che farebbe diventare un genio persino Japp e una quantità di situazioni che nei racconti sarebbero assenti (gli interrogatori di Watson, Holmes che aspetta notizie dai suoi "irregolari" etc). L'intera scena della caccia sulle acque è soporifera, e il finale non sorprende più nessuno.
Nonostante Conan Doyle insista sui temi prediletti - il viaggio alla scoperta di un tesoro di grande valore - il risultato è a dir poco pesante. Ma imparerà presto dagli errori, pronto al periodo più felice e fecondo del canone holmesiano.

7 commenti:

  1. Dunque, innanzitutto complimenti per il bell'articolo. Inizio col darti ragione sul fatto che Doyle era un narratore eccellente, ancora prima che un giallista eccellente; in fin dei conti se si paragonano i suoi intrecci con quelli della Christie o Queen il confronto è impietoso, ma la leggibilità e il godimento che si trae dalla prosa di Doyle (non solo per il canone di SH ma anche nei suoi romanzi storici e fantastici) è veramente un qualcosa di unico; solo i critici nostrani potevano considerarlo un autore mediocre (Gramsci poi, mi dispiace dirlo, quando ha parlato di letteratura d'evazione non ne ha imbroccata mezza). Non concordo invece sulla tua "stroncatura" del segno dei quattro, in quanto secondo me è il miglior giallo avventuroso mai scritto, con echi di Salgari e Kipling e con una storia d'amore che contrariamente a te a me è sempre piaciuta, come quella tra Hastings e Cenerentola in Aiuto Poirot; in questo romanzo, come in uno Studio in rosso (che invece a me non ha mai detto molto, in fin dei conti è una storia di vendetta da romanzo d'appendice come se ne erano già lette molte già al tempo) il plot conta poco, bisogna lasciarsi trasportare dalla storia per quella che è, e in questo, vedi la mia top ten, è il più alto risultato raggiunto dall'autore. In ogni caso posso capire il tuo parere negativo, è il classico romanzo che divide, o piace o non piace.

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  2. Su Il segno dei quattro hai ragione quando parli di tinto di avventura. È una componente che in Conan Doyle non manca mai però in questo caso predomina. Ed è assolutamente possibile che chi ami un certo genere narrativo possa trovare il romanzo un eccellente prodotto. Però non credo possa bastare: il plot è piuttosto debole e la maggior parte delle deduzioni di Holmes (come quella del "piccolo" esecutore) ridicole. Poi ho avuto l'impressione che qui allunghi davvero molto con situazioni che non sapeva gestire e finisca per creare un ibrido non facile per chi non è appassionato di avventura. Del resto rimane un unicum in questo senso, e Il mastino dei baskerville è completamente diverso, sia per senso d'atmosfera che per costruzione della trama. E questa è la sua unica opera che ho faticato a finire.
    Ma come ho scritto all'inizio sapevo di avere i fan di Holmes contrari alla mia posizione :)
    In ogni caso la mia opinione è che Conan Doyle facesse una certa fatica nel romanzo lungo, ma sia riuscito più di altri a trovare la formula del racconto perfetto, in una concisione e precisione assolutamente straordinaria. Chi ha provato ad imitarlo (la prima Christie) ha fatto brutte figure.

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  3. In fin dei conti Doyle per sua stessa ammissione, era per vocazione più romanziere storico avventuroso che giallista, e se Il segno dei quattro ( decisamente più avventuroso che giallo) fa giustamente storcere il naso all'appassionato di polizieschi, è pura ambrosia per chi, come il sottoscritto, con il romanzo di avventure è cresciuto; ma in ogni caso i due successivi romanzi con SH saranno molto più convincenti dal punto di vista del plot, e il colpo di scena de "la valle della paura" credo possa spiazzare ancora oggi.
    Concordo poi sulla perfezione stilistica dei racconti di Doyle, ma secondo me la Christie non ha fatto assolutamente brutte figure imitandolo, ma anzi lo ha raggiunto e perfino superato; se qualche racconto della raccolta "Poirot indaga" è zoppicante ( Il nobile Italiano su tutti) per me racconti come "La dama velata", "La scatola di cioccolatini" o ancora "L'eredità dei Lemesurier" o "Accadde in cornovaglia", sono gioiellini preziosi quanto e più quelli di Doyle; e alla fine Agatha supererà Doyle anche nei racconti fantastici, leggere per credere la raccolta " Il segugio della morte".

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  4. Ho riletto da pochissimo tutta la serie di racconti che la Christie pubblica tra il 1922 e il 1924 con protagonista Poirot. Li avevo letti qualche anno fa, ma volevo rivederli per poi pubblicare magari un paragone Doyle-Christie. Sinceramente li ho trovati tutti disastrosi. La Christie ha sempre dato il meglio di sé nella forma romanzo ma in molti racconti maturi ha dimostrato di essere davvero straordinaria (e quelli del Segugio sono ottimi, hai ragione). Ho desistito a cercare di scrivere un paragone tra i due autori proprio perché di scrivere male della mia amata Agatha non riuscirei mai, ma testi come Il caso della stella d'Occidente, Un appartamento a buon mercato o La maledizione della tomba egizia o Il ballo della vittoria mi sono apparsi drammatici per stile e plot. Quelli che mi citi non li rileggo da anni, ma li rivedrò!
    Chiaramente non voglio apparire eccessivamente critico, ma l'impressione è stata davvero di una affannosa ricerca di copiare un modello ormai piuttosto datato, senza riuscire a impadronirsi della sostanza di Conan Doyle, che è eccezionale.

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  5. A parte la grande Agatha - che qualcosina di meno buono ha scritto ma rimane qualcosa di ineguagliato oltre che di inspiegabile, e prima o poi le dedicherò qualcosa, perché è l'autrice poi controversa e peggio studiata in assoluto, secondo me - leggendo quali sono i tuoi autori preferiti (Chesterton, Perutz etc), ti chiedevo, hai mai letto Keeler?
    Secondo me potrebbe piacerti molto.

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  6. Secondo me nei primi anni della sua carriera la Christie nello stile imitò non tanto Conan Doyle (che comunque, sia chiaro, era uno dei suoi punti di riferimento) quanto Edgar Wallace, all'epoca nei suoi anni migliori, e questo non solo nei racconti ma anche nei primi romanzi a sfondo spionistico; L'avversario segeto, L'uomo vestito di Marrone, Poirot e i quattro o il Segreto di Chimneys trasudano Wallace, nel bene... e nel male, visto che sono prodotti che io adoro ma molto criticati e stroncati dai giallofili. E anche i racconti, così pasticciati a livello di plot ma adorabili per l'amabilità e l'umorismo di cu sono permeati, ricordano quelli del grande Edgar.
    Tornando a Keeler, lo conoscevo ma non ho mai letto niente, ma senz'altro mi hai invogliato alla lettura! con quale suo libro mi consiglieresti di partire? su IBS ce ne sono due..

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  7. Keeler è un meraviglioso surrealista, come Chesterton. I suoi romanzi sono stati pubblicati da Casini negli anni 50; ne ho qualcuno ma sono tagliati con l'accetta e il suo stile è difficilissimo da tradurre proprio per questa sua genialità. Gli unici testi validi sono quelli editi da Shake, Il caso Marceau è il primo, poi c'è il suo seguito, Omicidio nella quarta dimensione, quindi occhio a leggerli in fila!
    A parte tutto, valgono anche solo per le due superbe introduzioni firmate Igor Longo, forse tra le più belle pagine mai scritte sul poliziesco in Italia.

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