Si respira un'aria d'incertezza nella Vigata di Montalbano, un'aria a tratti limpida, carezzevole, a tratti putrida e pesante, che ti impedisce di ragionare bene, capire cosa non ci sia più, cosa sia cambiato.
Siamo lontani dal miglior Camilleri, e su questo è difficile essere in disaccordo, con l'autore siciliano che ha dato la sua ultima graffiata ormai cinque anni fa, con La caccia al tesoro. Siamo lontanissimi dai capolavori (Il giro di boa; La pazienza del ragno), e altrettanto distanti dal melmoso, confusionario e tortuoso universo de La piramide di fango, pubblicato nel 2014.
Con La giostra degli scambi, edito da Sellerio il 30 aprile 2015, Camilleri mostra di credere sempre di meno a Montalbano, e sempre di meno al romanzo poliziesco. A differenza di alcuni titoli precedenti la storia scorre bene, è facilmente comprensibile e a tratti interessante -- anche se alcuni snodi narrativi ricordano quelli de Il gatto e il cardellino, racconto contenuto nella raccolta Gli arancini di Montalbano. Ma, come detto, l'autore sembra non avere più voglia di aggiungere niente ai suoi personaggi: Montalbano invecchia solo a parole, Fazio non fa altro che ripetere "già fatto", a Catarella scappa la mano quando bussa, Augello alterna momenti di lucidità a sprazzi da neo-Watson dall'intelletto bacato, e Livia appare in poco più di un paio di noiose e inutili telefonate. I personaggi, insomma, non evolvono più da anni, sono marionette che ripetono stancamente le stesse battute, si muovono nello stesso, invecchiato e intristito, palcoscenico.
Un'aria di pesante inerzia narrativa aleggia su questo romanzo che, per carità, per noi appassionati è sempre bello gustare, ma stavolta manca anche un certo ampio respiro, una certa atmosfera. Ci sono poche descrizioni, pochi momenti di lirismo, tutto si snoda con pacata lentezza.
Anche se, alla fine, ciò che maggiormente mi infastidisce è il rapporto di amore-odio che Camilleri instaura con i modi del noir, o del romanzo poliziesco, o in qualunque modo vogliate chiamarlo: ha spesso ripetuto come per lui il genere sia poco più che una gabbia, deve scrivere capitoli della stessa lunghezza, seguire determinati precetti, non sfuggire alle regole. Ci sono non più di due personaggi in questa storia, due sospettati: se il primo sembra il colpevole per 2/3 del romanzo, non potrà che essere l'altro, alla fine, il vero assassino. Quando Camilleri capirà che il poliziesco è tutt'altro che un'insieme di regole scritte, forse, sarà troppo tardi.
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