lunedì 2 febbraio 2015

Pietr-le-Letton (Pietr il Lettone, 1931) - Georges Simenon

Georges Simenon, belga, è stato uno dei grandi scrittori del Novecento. La sua fortuna è dovuta anche e soprattutto ai romanzi con protagonista il Commissario Maigret, tra i più amati personaggi della letteratura del secolo scorso.
Questi romanzi, va subito detto, non hanno quasi nulla in comune con il mystery dell'epoca, soprattutto quello francese, in cui operano geniali orditori di enigmi come Nöel Vindry, Pierre Very o Gaston Boca. Simenon, soprattutto nel primo periodo, non ha alcun interesse nel costruire trame interessanti, e scrive quasi esclusivamente per motivi economici. Lo si nota perfettamente dall'incredibile mole di testi pubblicati nel giro di pochissimo tempo (10 romanzi nel solo 1931), e dalla loro brevità.
In breve, le opere di Simenon con Maigret, pur solcando il filone della detective story, sono lontanissime dal mystery: appaiono invece piccoli tasselli di una grandiosa Commedia Umana, fondamentali per comprendere l'evoluzione di Parigi e della terra di Francia dai primi anni Trenta sino agli anni Settanta.
Il ciclo iniziale, che si snoda dal 1931 al 1934, è più complesso a livello di intrecci, ma nello stesso tempo più confusionario, acerbo e meno poetico. Il secondo ciclo, invece, che corrisponde al periodo 1940-1972, vede romanzi più lirici, approfonditi psicologicamente, nostalgici e malinconici, spesso ambientati nei soli dintorni parigini.
Questo Pietr-le-Letton, scritto nell'inverno del 1929 e pubblicato da Fayard nel 1931, è il testo d'esordio con protagonista Maigret, ed è piuttosto emblematico, perché mette in luce le problematiche del romanzo poliziesco del periodo.
In questo romanzo Simenon rimane a metà tra il romanzo d'avventura e hard-boiled, con Maigret che si muove in modo caotico tra i meandri della città, cercando di risolvere un caso tortuoso e complicato nell'accezione più negativa del termine. I caratteri del commissario appaiono ancora sin troppo stereotipati: un uomo fatto di granito, implacabile e dallo sguardo di ghiaccio, sin troppo indifferente nei confronti del mondo, sul quale getta uno sguardo disincantato e a tratti cinico.
Dopo un prologo vivido e affascinante, avvolto da un'atmosfera di grande inquietudine, tra appostamenti durissimi sotto la pioggia e squallidi bar, il romanzo inizia piano piano a perdere d'interesse, penalizzato dalla ricerca di un'azione che non pare essere nelle corde dell'autore. Lentamente si dispiega il tema del doppio, Maigret viene ferito, ma alla fine il mistero (se di mistero si può parlare) sarà risolto.
Simenon non è ancora Simenon, e il tentativo di avvicinarsi alle atmosfere e ai moduli dell'hard-boiled è deleterio: disordinato, lentissimo e per larghi tratti di una pesantezza oggi insostenibile.

5 commenti:

  1. Sono del tutto d'accordo con te, sia nel giudicare non eccelso questo primo Maigret, sia nel considerare il secondo ciclo delle storie del commissario nettamente migliore del primo; il Simenon giovane e ruspante ha scritto cose diventate mitiche oltre ogni loro merito effettivo, come ad esempio Il cane giallo o Il crocevia delle tre vedove, graffiti adorabili quanto si vuole ma non certo eccelsi come intreccio e risoluzione.. a mio avviso l'unico vero capolavoro del primo periodo è L'affare Saint Fiacre, ma solo per il suo strepitoso inizio.
    Nelle storie della maturità si ha tutto un altro pathos, tutto un altro spessore; del resto SImenon le scriveva con gli occhi della memoria e del rimpianto (si era auto-esiliato in America dopo le assurde accuse di collaborazionismo contro di lui), e talvolta questa predisposizione d'animo fa creare i veri capolavori. E poi anche le trame poliziesche, vedere su tutte "Cecile è morta" erano decisamente più convincenti.

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  2. Sono d'accordo Omar. Simenon non è un autore di mystery, e non a caso la sua produzione era decisamente criticata dai grandi dell'epoca, come Vindry, l'anti-Simenon per eccellenza. L'opera filologica di Adelphi a lui dedicata è eccezionale, ma la meriterebbero anche altre figure di quegli anni, magari meno conosciute e snobbate dalla critica accademica.

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Infatti credo che Simenon, dopo alcuni gialli economici degli anni trenta, non sia mai stato proposto nella collana del giallo Mondadori "canonica", cosa che trovo giustissima in quanto l'autore alla fine sarebbe stato fuori posto; avvedutamente, Mondadori dedicò all'autore una collana a parte. Quindi non posso essere d'accordo con Vindry e gli altri, in quanto Simenon era incriticabile perché, semplicemente, scriveva altro. E hai proprio ragione, il lavoro dell'Adelphi è stato eccezionale, ma per quanto riguarda il poliziesco e dintorni credo sia stato un unicum, in quanto autori come Vindry o altri sono troppo "divertenti" per trovare spazio nell'austera casa editrice; spero molto nella Castelvecchi, che con coraggio ha ripubblicato Leroux.

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  5. Castelvecchi sta pubblicando, giustamente, autori i cui diritti sono scaduti (hanno ritradotto Freeman ad esempio, per ora in due bei volumi).
    Vindry in Italia difficilmente lo si vedrà prima della scadenza dei diritti (è morto nel 1954 se non sbaglio), ma so per certo che negli Stati Uniti si sta tentando di pubblicarlo.
    Parlando con John Pugmire qualche tempo fa, mi ha detto di aver già pronte le traduzioni di 5-6 Vindry (e anche di Boca), ma non si sa se e quando usciranno. Speriamo in questo 2015

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