mercoledì 10 dicembre 2014

The Maltese Falcon (1930) e The Big Spleep (1939): Dashiell Hammett e Raymond Chandler, i pionieri del noir


The Maltese Falcon e The Big Sleep sono due romanzi molto diversi, nonostante le indubbie affinità. 
Entrambi primari capisaldi dell'hard-boiled novel  entrambi espressioni letterarie del grande noir classico, entrambi caratterizzati dalla presenza di un detective privato dalla pistola facile e la battuta pronta, sono in realtà due romanzi che hanno diversa intenzione, diversa natura, diverso stile e diverso risultato.
Come ho detto qualche giorno fa, la vibrante, potente ma sordida prosa hammettiana, "a cui si apre il non-detto" (Minganti), così difficile da tradurre e rendere nella nostra lingua, fa breccia nella mente del lettore in modo quasi meschino, e lì vi rimane. E' difficile liberarsi di Hammett e del Falco, mentre si rimugina continuamente sulla sua punteggiatura, i suoi strappi e le sue contrazioni narrative, all'interno di un montaggio cinematografico "di sole immagini" (Minganti). 
Questo romanzo è un punto di arrivo per Hammett, che si libera della prima persona narrativa e impone un nuovo registro stilistico, economicamente perfetto, secco ma efficace, sul quale modella quello che credo rimanga il più alto prodotto dell'hard-boiled novel mai scritto(pur essendo l'autore "visionario" del genere, come ha detto Barbolini). Certo la trama è esile, la credibilità di alcuni personaggi e alcune situazioni (Spade, la polizia, ma anche alcuni caratteri femminili) è a tratti solamente presunta, ma il risultato è ovviamente di livello. 
Io continuo a preferire qualche altro prodotto di Hammett, dove  la sua bravura nel costruire puzzle e disperdere indizi si rivela in tutta la sua potenza, ma sono gusti, e tali rimangono. Il Falco resta, nonostante dei difetti e alcuni snodi che al lettore di oggi appaiono prevedibili, un testo che raggiunge il suo scopo. Hammett è uno scrittore pulp, un duro, che nasce dai bassifondi, che scrive con forza, con genuinità, con la ferocia di chi sta in basso e vuole volare in alto. Questo è il vero pulp: l'insensatezza della vita, il gioco del destino, la vita, la morte e la cattiva scrittura (per dirla alla Charles Bukowski, che col suo Pulp ha regalato la più geniale parodia del noir che abbia mai letto).


Chandler non è pulp. E' stato educato in Inghilterra, non riesce e non riuscirà mai (e quanto ne soffrirà) ad essere stilisticamente Hammett; è un'altra cosa, ha altre intenzioni. Chandler ha aspirazioni molto alte, e questo lo porterà a esprimere duramente concetti inaccettabili per il solo scopo propagandistico. Due anni dopo la pubblicazione del suo saggio The Simple Art of Murder scriverà infatti ad Howard Haycrfat: "You must not take a polemic piece of writing like my own article from the Atlantic too literally. I could have written a piece of propaganda in favor of the detective story just as easily. All polemic writing is over-stated".
Chandler è stato un acuto lettore, con le sue preferenze e le sue fissazioni, ma non va preso mai alla lettera, come invece hanno fatto, purtroppo, tutti i critici e come continuano a fare tutt'ora. 
Prima celebrò Hammett come il salvatore della patria, poi si trovò a scrivere nel 1945 a Blanche Knopf, confessando di essere "stufo di dover andare in giro sulle spalle di Hammett e di James M. Cain come la scimmia di un suonatore d'organetto - e aggiungendo che c'erano tantissime cose che Hammett non sapeva fare" (Barbolini). Addirittura, e questo è davvero straordinario, scrisse, in Twelve Notes: "The perfect detective story cannot be written. [...] It would be nice to have Dashiell Hammett and Austin Freeman in the same book, but it just isn't possible".
Nonostante la sua avversione per gli intrecci troppo complessi, Chandler scrisse ugualmente romanzi che sono ancora ottimi esempi di costruzione narrativa e plotting, come The High Window o The Lady in the Lake.
The Big Sleep non è niente di tutto questo. Philipe Marlowe, qui alla sua prima apparizione, è il prodotto (quasi) finito di una lunga serie di investigatori chandleriani privi di mordente. Ma in questo romanzo non va nemmeno vicino al cinismo di Spade, ed è troppo integro, troppo romanticizzato e troppo moralmente e fintamente retto per attrarmi davvero. L'inesistenza di una trama (qui davvero datatissima), la mancanza di personaggi memorabili e le sbadataggini narrative (l'autore dimentica persino di dire chi sia il colpevole di uno degli omicidi), non sono i veri responsabili di un testo esageratamente sopravvalutato: il vero problema è che, contrariamente a The Maltese Falcon, qui il ritmo è davvero sonnambolico, e la tensione narrativa agonizza dall'inizio alla fine. Non mancano momenti di alto livello (il prologo, il cupo finale, il magistrale capitolo 26, in cui si rivelano le abilità dell'autore nelle sceneggiature) ma non bastano.
Chandler non riesce e non vuole essere Hammett, e costruirà qualcosa di assolutamente personale, ma non riuscirà mai ad andare fino in fondo, azzannare la materia sino a scarnificarne il corpo letterario. In breve, non riuscirà mai a passare dall'altra parte della barricata.

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