Nel 1950 un discreto appassionato di classifiche come Ellery Queen decise di riunire una folta schiera di critici e scrittori per decidere, tramite una votazione, quali fossero i migliori racconti polizieschi mai scritti sino ad allora. Tra questi vi era gente del calibro di John Dickson Carr, Vincent Starrett, Howard Haycraft ed Anthony Boucher, ovvero alcuni tra i maggiori studiosi e esperti del tempo.
Questi, a partire da 83 testi in nomination, stilarono una classifica di 12 titoli complessivi, tutte detective stories che abbracciano il periodo 1845-1938. La lista è estremamente interessante, ma anche profondamente discutibile, e non tanto perché sono passati 64 anni.
Il primo posto, innanzitutto, è sorprendente: con 8 voti su 12 disponibili vinse facilmente The Hands of Mr. Ottermole, di Thomas Burke, scritto nel 1931. Intendiamoci, Burke è un narratore di tutto rispetto e il racconto, soprattutto per l’epoca, è potente ed innovativo, dall’atmosfera disturbante e coinvolgente, in cui un folle assassino sembra uccidere per puro diletto. Ad oggi appare un filo datato e anche la soluzione, a mio parere, deve molto a Chesterton e a Philip McDonald.
Nonostante il mio (pacato) scetticismo l’opera fu recensita in maniera entusiastica sia da Anthony Boucher (nel suo Murder by Experts) che da Carr. Roland Lacourbe, invece, stronca rapidamente quest’opera nel suo 1001 Chambres Closes, forse con un pizzico di approssimazione. Nel complesso, comunque, considerarlo il maggior racconto poliziesco mai scritto appare arduo, oggi come allora. In italiano è stato tradotto da Aldo Camerino per il volume Delitti quasi perfetti, omnibus Mondadori curato da Polillo nel 1978.
Al secondo posto a pari merito, con 6 voti su 12, troviamo: The Purloined Letter (La lettera rubata, 1845) di Poe, The Read Headed-League (La lega dei capelli rossi, 1892) di Conan Doyle e The Avenging Chance (Il caso vendicatore, 1929) di Anthony Berkeley. Su Poe si può essere d’accordo (la sua presenza, in ogni caso, non sarebbe mai in discussione), su Conan Doyle no. Ho parlato qualche giorno fa proprio di Le avventure di Sherlock Holmes, prima raccolta di Doyle in cui appare questo racconto di straordinaria mediocrità. Di tutti gli eccellenti racconti dell’autore inserire questo mi sembra un’assurdità.
Anche su Berkeley, sinceramente ci sono delle perplessità. Insomma, il racconto, che è una sorta di testo preparatorio al libro più famoso dello scrittore inglese (il mitico Il caso dei cioccolatini avvelenati), è interessante, ma non è un capolavoro immortale, a differenza del romanzo. In italiano si trova nella bellissima raccolta Polillo Enigmi e Misteri, forse il miglior volume di short-stories mai pubblicato nel nostro paese. Ad ogni modo quest’opera è stata scelta tra le più importanti di sempre sia da Carr che da Chesterton, perciò, alla fine, ho torto io.
Al terzo posto a pari merito con 5 voti ci sono Robert Barr, la cui presenza è scontata, con The Absent-Minded Coterie, pubblicato nel 1905, e Jacques Futrelle col suo classico più celebre, The Problem of Cell 13, del 1907.
Tutti gli altri hanno preso 3 voti e si trovano perciò nella stessa posizione. C’è innanzitutto Chesterton con The Invisible Man, apparso nel 1911 nel meraviglioso The Innocence of Father Brown. Il fatto che Chesterton non si trovi al primo posto con una infinita distanza sugli altri è piuttosto discutibile (per me, francamente, è inaccettabile), mentre sul titolo si può fare dell’accademia: io ne preferisco altri, ma The Invisible Man resta un racconto superlativo e una pietra miliare del ‘900, e tanto basta.
Successivamente troviamo, giustamente, il grande Melville Davisson Post, uno dei più grandi narratori di quella che Symons chiama First Golden Age (quella del racconto breve), con Naboth’s Nineyard. Poi ancora vi è uno scritto estremamente celebre: The Gioconda Smile, scritto al principio degli anni Venti da Aldous Huxley. Se il racconto merita o meno la citazione è difficile dirlo; un certo peso potrebbe averlo avuto il film apparso nel 1947, diretto da Zoltan Korda.
Per concludere la lista ci sono: il grande H. C. Bailey con The Yellow Slugs, del 1935 (si sa, Bailey è molto amato, comprensibilmente, da Queen); poi, stranamente, abbiamo un tardo Bentley, The Genuine Tabard, del 1938, e infine lo splendido Suspicion (Sospetto) di Dorothy L. Sayers, del 1933.
Una lista variegata, di dodici scrittori diversi, che hanno lasciato, chi più chi meno, un’impronta nella storia del mystery. Certo, non appaiono Richard Austin Freeman, Agatha Christie, John Dickson Carr e lo stesso Ellery Queen. Qualche domanda, serenamente, ce la possiamo porre.
Beh, sinceramente sono piuttosto perplesso, per il solo fatto che se si fa una raccolta dei migliori racconti un minimo obiettiva, La Christie, Carr e Queen non li puoi proprio lasciare fuori. Molti dei racconti inclusi non li ho letti (preferisco i romanzi o comunque le raccolte di un solo autore come Le avventure di Ellery Queen) e non posso quindi essere obiettivo, ma dubito fortemente che molti dei racconti inclusi siano migliori di "La casa a Goblin Wood", "Il terzo proiettile", "Tre topolini ciechi", "Il villin degli usignoli", "La lampada di Dio", "L'avventura del tea party da pazzi" e compagnia cantante. Evidentemente si è voluto fare una raccolta per così dire "originale" e innovativa per non proporre sempre i soliti titani, ma è come redigere una formazione dei migliori calciatori di ogni tempo omettendo Peleè, Maradona e Di Stefano perchè "ci sono sempre".
RispondiEliminaDue impressioni; anche per me CHesterton doveva stravincere; sono d'accordo col titolo in quanto per me forse senza eThe invisible mann non avremmo avuto Carr per come lo conosciamo; poi uno può preferire Gli strani passi o Il martelo di DIo o Il giardino segreto o All'insegna della spada spezzata o Il pugnale alato, ma GKC era il narratore di racconti poliziesco più grande di sempre e per me questo dato è incontestabile.
E, per finire, non sono uno di coloro che considerano Poe automaticamente tra i più grandi; ha dato moltissimo al genere e su questo non ci piove, ma sta ai giallisti da Doyle in poi come Griffith sta a Hitchcock; un precursore poi superato da artisti che poi non sono stati superati a loro volta.
Queste classifiche lasciano il tempo che trovano, servono più come spunto divertente per discutere che per altro. Poi, sia chiaro, gli autori citati sono tutti importanti e quasi tutte le opere assolutamente notevoli. I criteri valutativi rimangono comunque seri. I problemi sussistono nel momento in cui si vogliono limitare i titoli a 12, lasciando fuori autori fondamentali. Quelli che citi tu sono capolavori, ma almeno tre sono racconti lunghi e un altro mi sembra successivo al 1938. Però, è ovvio, mancano infinite opere da questa lista. L'unica cosa su cui non sono d'accordo è Poe. Il suo corpus continua ad essere straordinario ancora oggi, e i racconti ancora dei trionfi di stile e tecnica poliziesca. Se parliamo solo di "enigma deduttivo" Conan Doyle non si è mai minimamente avvicinato a ciò che ha fatto Poe in Rue Morgue o ancora in Marie Roget, che è davvero qualcosa di irripetibile.
RispondiEliminaPurtroppo quello che forse oggi paga Poe per i "detrattori" come me (che poi detrattore non sono, perchè ho sempre amato Poe) è una lwggibilità che oggi appare abbastanza faticosa; i 3 racconti con Dupin sono impeccabili e rivoluzionari, ma abbastanza pesanti, con quella prosa influenzata dai romantici Tedeschi zeppa di citazioni dotte e nozionismi; Marie Roget a mio parere è abbastanza faticoso da portare a termine, anche se certamente la pazienza del lettore è ricompensata eccome. In ogni caso, a confronto di Doyle e poi dei titani della Golden age, Poe ha perso in freschezza, in immediatezza, appare troppo freddo ed è difficile affezionarsi a Dupin e al suo mondo. Per cui mettiamo pure "obbligatoriamente" un suo racconto nei best of (io scelgo I delitti della rue Morgue) ma come perfetti esercizi deduttivi senza condimento; magari a te giustamente va benissimo così, per me invece il "contorno" ovvero la componente romanzesca e una certa verve, sono indispensabili.
RispondiEliminaI testi di Poe sono grandi esercizi di investigazione, e necessariamente leggermente freddi. Ma io amo molto la densità stilistica di Poe, il citazionismo, e anche Dupin. Poi dipende anche, per questi scrittori, il traduttore. Ad esempio leggere Chesterton tradotto da Quintavalle o Morganti vuol dire due mondi diversi. E sono entrambi integrali e accurati.
RispondiEliminaIn effetti di Poe ho vecchie edizioni Garzanti e Mondadori, con traduzioni abbastanza antiquate; dovrei procurarmi un'edizione più aggiornata, sarebbe un'occasione per rileggere questi lavori che ormai non tocco da troppo tempo.
RispondiEliminaIl problema di Poe è che in Italia lo ha tradotto chiunque! Quella Mondadori non la conosco, mentre Garzanti è terribile perché ce l'ho anche io. A questo punto meglio la Newton (che è un tutto dire). Poi ovviamente sono gusti (come per la Brand, del resto).
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