The Beetle, pubblicato originariamente nel 1897, è considerato il testo più rappresentativo del romanziere Vittoriano Richard Marsh. Come molti testi coevi, come ad esempio quelli scritti da Conan Doyle, Shiel, Stevenson o Arthur Machen, questo romanzo può essere letto contemporaneamente come una detective story e come un testo gotico, possedendo al suo interno una struttura 'mystery' e un tono da puro romanzo dell'orrore. Pubblicato nello stesso anno del celebre Dracula di Bram Stoker, il romanzo di Marsh ottiene inizialmente maggior successo, e viene salutato piuttosto positivamente sia dalla critica sia dal pubblico. Siamo in un periodo dove per la prima volta il genere 'mystery' sta iniziando a maturare uno statuto personale, ma i legami con il gotico sono ancora fortissimi. Come scrive anche Haycraft, gli autori non hanno ancora un'idea precisa della distinzione tra mystery e mero romanzo del mistero, e non di rado accade che testi tardo Vittoriani appaiano 'ibridi', appartenenti ad entrambi i generi letterari. The Beetle è uno di questi, ed è un testo assolutamente interessante.
La storia è piuttosto ingarbugliata, e viene raccontata da quattro diversi punti di vista, ognuno dei quali appartenente ad un personaggio centrale del racconto. Il primo è quello di Robert Holt, sfortunato homeless che, nel disperato tentativo di trovare un'ubicazione per la notte, si ritrova nell'orribile dimora di un essere dalle fattezze inumane, che grazie al potere magnetico dei propri occhi lo ipnotizza sino a soggiogarlo. Questa creatura spinge Holt, mezzo nudo nella tormenta, a penetrare in casa dello stimato uomo politico Paul Lessingham per impadronirsi di alcune lettere d'amore scritte da Paul alla futura moglie Marjorie Lindon. A questa vicenda si intreccia quella di Sydney Atherton, inventore geniale perdutamente innamorato di Marjorie, che racconta il proprio incontro con Holt e i bizzarri avvenimenti che seguono. Il terzo narratore è proprio Marjorie.
Al centro del romanzo c'è la figura del politico Paul Lessingham, sconvolto anni prima dall'incontro con una mostruosa setta egiziana devota all'idolatria di uno scarabeo, che riappare per distruggere la sua vita e la sua carriera pubblica. La quarta parte della storia è raccontata dall'investigatore Augustus Champnell, esperto di sovrannaturale e personaggio ricorrente nelle storie di Marsh. Champnell, non completamente dissimile dai detective dell'occulto di Blackwood e Hodgson, viene ingaggiato da Lessingham per scoprire l'origine di questi orrori. Alla fine ci riuscirà, ma i punti interrogativi restano moltissimi.
L'intreccio è ovviamente molto complesso e difficile da raccontare. Nella sua natura intrinseca, il romanzo è un classico late-Victorian Gothic, che utilizza certe categorie scientifiche teorizzate dalla scienza positivista del tempo per ribaltarle, svelando i lati inumani e inconoscibili del mondo naturale. Molte domande, infatti, non ottengono risposta, e il laconico commento del detective nell'ultimo paragrafo è piuttosto eloquente. Marsh sfrutta numerosi elementi tipici del gotico Vittoriano (l'ipnosi come possessione demoniaca, il forte accento 'somatico' dell'orrore incarnato dal mostruoso villain, la paura per ciò che è 'altro' e proviene da fuori, la capitale inglese come calderone di orrori indicibili, la preminenza delle malattie mentali), ma la struttura del racconto e la presenza di una vera e propria indagine avvicinano il testo a una detective story.
Il risultato complessivo è però piuttosto altalenante, il testo soffre di una certa verbosità e non di rado si sfocia nel didascalico. Marsh si concentra sulla componente esteriore e somatica dell'orrore, dimostrandosi a volte incapace di suggerire il sentimento della paura senza descriverlo esaustivamente. Troviamo, mescolate nel romanzo, una setta adoratrice di Iside e devota ai sacrifici umani, donne morte che si trasformano in orribili scarabei e situazioni impossibili (verso la fine c'è anche una sparizione da una stanza chiusa dall'interno), ma il finale consolatorio appare quasi posticcio e non convince. Il primo paragrafo, bizzarro ma ben scritto, colpisce, mentre quello raccontato in prima persona dalla signorina Lindon smorza quasi del tutto la tensione. Nell'ultima parte Marsh riprende in mano le redini della storia e dimostra di sapere come costruire una buona suspense. Peccato per l'inutile verbosità di certi passaggi che spesso scadono nel melodrammatico.
Nonostante i limiti stilistici e strutturali, questo romanzo resta però una ricchissima testimonianza di un momento storico-letterario fondamentale per l'evoluzione del romanzo gotico e della crime fiction, cugini lontani ma mai davvero distanti l'uno dall'altro.