Se due o più indizi costituiscono una prova, e puntano cioè verso una medesima direzione, allora possiamo affermare che, finalmente, sia arrivato il momento della rottura delle convenzioni, quelle che troppo spesso accompagnano gli studi sulla detective fiction. Se in Italia non ce la passiamo troppo bene (la casa editrice Polillo è per ora in stand-by), in Inghilterra le cose sembrano andare diversamente: non solo molti grandi Golden Age writers stanno iniziando ad essere riproposti dalle più diverse case editrici (Freeman W. Crofts, Jefferson Farjeon, che ha ottenuto un successo clamoroso, John Bude, etc), ma recentemente sono stati pubblicati due saggi eccezionali, scritti da due personalità importanti nel mondo della crime fiction.
Il primo è The Golden Age of Murder (2015), opera monumentale dello scrittore britannico Martin Edwards, che ripercorre attraverso autori, romanzi, vite e aneddoti, la grandiosa storia della Golden Age; e il risultato è davvero sorprendente, innanzitutto per la brillantezza dello stile, ma anche per la quantità di materiale presentato, l'accuratezza dell'eloquio e la mole di informazioni.
Il secondo saggio è invece The Spectrum of English Murder (2015), scritto dallo studioso Curtis Evans, il quale ripercorre le opere e il pensiero di figure eccezionali come Henry Wade e i coniugi Cole: legando storia sociale a critica letteraria, Evans vuole demolire l'opinione comune che vede tutti i Golden Age writers come conservatori e politicamente schierati a "destra". Insomma, entrambi gli studiosi hanno lo scopo di mostrare la grandissima complessità del mystery, e pretendono di farlo distruggendo tutte quelle convinzioni che erroneamente sono state portate avanti dalla critica nel corso degli anni.
Tutto ciò è ossigeno puro in un ambiente dominato dal pensiero critico di Lucy Worsley, Susan Rowland o P.D. James. Purtroppo, l'idea che il romanzo poliziesco della Golden Age sia diviso in due tronconi e filoni incompatibili (il British detective novel e l'Hard Boiled novel), sembra aver contagiato ormai ogni studioso che si approccio al genere. L'idea, ancora più folle, che il British detective novel della Golden Age sia dominato da autrici esclusivamente femminili e di origine britannica (le Crime Queens, su tutti la Christie e la Sayers) è ancora più radicata, come si può notare dal saggio del 2009 di P.D. James Talking About Detective Fiction.
La James, da poco scomparsa, è stata una scrittrice di primo piano, ma dal punto di vista critico il suo saggio è semplicemente un disastro. È parziale, per certi versi fazioso e contro ogni verità storica, pieno di errori e omissioni. Se è vero che nella prefazione ammette di non voler tracciare una storia del genere, non è ugualmente accettabile che in un saggio sulla detective fiction non vengano nemmeno nominati i veri grandi autori, da Ellery Queen ad Anthony Boucher, passando per un John Dickson Carr a malapena citato. Tralasciando i tanti errori - il colpevole di La lettera rubata di Poe non è certamente il personaggio meno sospetto; l'idea che il mystery non fosse rispettato dagli intellettuali sino alla pubblicazione di Gaudy Night (1935) della Sayers è un'assurdità, come ha ben dimostrato Curtis Evans nel saggio Murder in the Criterion. T.S. Eliot on Detective Fiction (2014) - la James insiste davvero troppo sull'importanza delle norme e delle regole (quelle di Knox, perché Van Dine non è mai nemmeno citato), punto sul quale credo John Dickson Carr abbia speso parole abbastanza definitive nel saggio The Greatest Game in the World (1946).
Io mi auguro che l'apporto critico di studiosi come Evans e Edwards serva per dare una scossa allo stagnante panorama critico internazionale, e permetta di gettare nuova luce su un genere bistrattato e mal compreso. Troppi hanno questa malsana idea che i romanzi della Golden Age siano popolati solo da detective snob e altolocati, dove le donne parlano come Maggie Smith in Downtown Abbey, dove il crimine è un passatempo, le regole governano la narrazione, il sangue non scorre mai e alla fine ogni ordine sociale viene restaurato. Tutto ciò è falso. Sono solo generalizzazioni, alcuni dei tanti miti che circolano e che spero vengano presto spazzati via.
Per fare un ultimo esempio, il solito Evans, nel bellissimo saggio The Amateur Detective Just Won't Do: Raymond Chandler and British Detective Fiction (2014), non solo ha dimostrato come l'Hard-Boiled fiction di Chandler avesse molto in comune con il mystery classico, ma che lo scrittore americano, contrariamente alle posizioni (dettate dalla propaganda) espresse in The Simple Art of Murder (1950), leggesse e fosse un sincero ammiratore di autori come Crofts o Freeman, ovvero i giganti del romanzo poliziesco inglese.
In Italia, purtroppo, ancora si parla di "vasi di cristallo", di Hammett che ha rigettato il delitto nei vicoli, del mystery Golden Age come cruciverba o gioco enigmistico.
Altrove, pare, il tempo per spazzare via gli stereotipi sembra invece arrivato.