martedì 30 settembre 2014

Mystery in White (Sotto la neve, 1937) - Jefferson Farjeon



Jefferson Farjeon, londinese, è stato un nome di pregio del periodo Golden Age. I suoi romanzi, caratterizzati da uno stile pulito e piacevole, furono molto apprezzati da Dorothy Sayers per l'attenzione agli ambienti, la leggerezza narrativa, la dolcezza nel modellare intreccio e personaggi: "Jefferson Farjeon is quite unsurpassed for creepy skill in mysterious adventures", scrisse la celebre autrice britannica. Nel dopoguerra svariate opere di Farjeon furono pubblicate nel nostro paese, ma successivamente se ne persero le tracce. La Polillo Editore, straordinaria nel riportare in auge determinati autori dimenticati, ha nel corso del tempo riproposto addirittura tre dei suoi romanzi, tutti ritradotti ovviamente. Questo Sotto la neve è il primo pubblicato da Polillo, ed evidentemente deve avere avuto successo.
Sulle effettive qualità dell'autore io sono sempre stato piuttosto scettico, e questo romanzo ne è un po' l'emblema. Paragonato a Murder on the Orient Express per l'ambientazione, in realtà ha ben poco a che spartire con uno dei più famosi romanzi del '900.
La vigilia di Natale, un treno che parte da Londra e diretto a Manchester, è costretto a fermarsi in aperta campagna a causa di una fortissima nevicata che stava rendendo la zona circostante una immensa distesa di bianco. L'azione si concentra sui passeggeri di uno scompartimento, bizzarramente assortiti per età ed interessi, che piano piano, mentre passano le ore, iniziano a spazientirsi. Improvvisamente il più anziano del gruppo decide di scendere dal treno per recarsi nella stazione più vicina. Anche gli altri, dopo un breve tentennare, decidono di scendere, ma nella feroce tormenta ben presto perdono la strada, con il gelido freddo che comincia a farsi sentire fin dentro le ossa. Dopo un lungo peregrinare finiscono per imbattersi in una solida dimora inglese che ha addirittura la porta aperta. L'atmosfera all'interno è  dir poco bizzarra: i ceppi scoppiettano nel camino, il salotto è apparecchiato per il tè, l'aria è calda e accogliente. Ma dove sono tutti? Perché non c'è nessuno, tranne un coltello sul pavimento?



Come nella maggior parte dei romanzi di Farjeon, la prima parte della storia è incantevole: lasciato velocemente per strada  l'elemento ferroviario, l'autore si concentra nel ricreare con straordinaria piacevolezza un clima di bizzarra attesa, con un gruppo di personaggi loro malgrado costretti a vivere delle situazioni al limite del paradossale. L'ambientazione è davvero meravigliosa e il romanzo, poco prima della metà, sembra promettere scintille. 
Ma le attese vengono tristemente deluse: l'ingegnosità dell'intreccio può far poco di fronte ad un ritmo narrativo di una lentezza esagerata, in cui la tensione rapidamente si scioglie come neve al sole. I personaggi non hanno spessore (alcuni, addirittura, scompaiono senza alcun motivo) e la soluzione, debole e scontata, non interessa più a nessuno. 
Il romanzo si legge ancora con un certo gusto, sia chiaro, ma Farjeon resta un autore dai buoni propositi difficilmente mantenuti: la sottile atmosfera pseudo-sovrannaturale è potenzialmente intrigante, ma viene sfruttata ingenuamente, ed è priva di forza. L'autore usa numerosi spunti da mystery classico (la bufera, la casa di campagna, un vecchio che vuol fare l'investigatore dilettante), ma rimane avvolto in una leggerezza di fondo che sfiora l'inconsistenza.

mercoledì 24 settembre 2014

Ellery Queen's Twelve Best Detective Stories (1950)


Nel 1950 un discreto appassionato di classifiche come Ellery Queen decise di riunire una folta schiera di critici e scrittori per decidere, tramite una votazione, quali fossero i migliori racconti polizieschi mai scritti sino ad allora. Tra questi vi era gente del calibro di John Dickson Carr, Vincent Starrett, Howard Haycraft ed Anthony Boucher, ovvero alcuni tra i maggiori studiosi e esperti del tempo. 
Questi, a partire da 83 testi in nomination, stilarono una classifica di 12 titoli complessivi, tutte detective stories che abbracciano il periodo 1845-1938. La lista è estremamente interessante, ma anche profondamente discutibile, e non tanto perché sono passati 64 anni.
Il primo posto, innanzitutto, è sorprendente: con 8 voti su 12 disponibili vinse facilmente The Hands of Mr. Ottermole, di Thomas Burke, scritto nel 1931. Intendiamoci, Burke è un narratore di tutto rispetto e il racconto, soprattutto per l’epoca, è potente ed innovativo, dall’atmosfera disturbante e coinvolgente, in cui un folle assassino sembra uccidere per puro diletto. Ad oggi appare un filo datato e anche la soluzione, a mio parere, deve molto a Chesterton e a Philip McDonald. 
Nonostante il mio (pacato) scetticismo l’opera fu recensita in maniera entusiastica sia da Anthony Boucher (nel suo Murder by Experts) che da Carr. Roland Lacourbe, invece, stronca rapidamente quest’opera nel suo 1001 Chambres Closes, forse con un pizzico di approssimazione. Nel complesso, comunque, considerarlo il maggior racconto poliziesco mai scritto appare arduo, oggi come allora. In italiano è stato tradotto da Aldo Camerino per il volume Delitti quasi perfetti, omnibus Mondadori curato da Polillo nel 1978.


Al secondo posto a pari merito, con 6 voti su 12, troviamo: The Purloined Letter (La lettera rubata, 1845) di Poe, The Read Headed-League (La lega dei capelli rossi, 1892) di Conan Doyle e The Avenging Chance (Il caso vendicatore, 1929) di Anthony Berkeley. Su Poe si può essere d’accordo (la sua presenza, in ogni caso, non sarebbe mai in discussione), su Conan Doyle no. Ho parlato qualche giorno fa proprio di Le avventure di Sherlock Holmes, prima raccolta di Doyle in cui appare questo racconto di straordinaria mediocrità. Di tutti gli eccellenti racconti dell’autore inserire questo mi sembra un’assurdità. 
Anche su Berkeley, sinceramente ci sono delle perplessità. Insomma, il racconto, che è una sorta di testo preparatorio al libro più famoso dello scrittore inglese (il mitico Il caso dei cioccolatini avvelenati), è interessante, ma non è un capolavoro immortale, a differenza del romanzo. In italiano si trova nella bellissima raccolta Polillo Enigmi e Misteri, forse il miglior volume di short-stories mai pubblicato nel nostro paese. Ad ogni modo quest’opera è stata scelta tra le più importanti di sempre sia da Carr che da Chesterton, perciò, alla fine, ho torto io.
Al terzo posto a pari merito con 5 voti ci sono Robert Barr, la cui presenza è scontata, con The Absent-Minded Coterie, pubblicato nel 1905, e Jacques Futrelle col suo classico più celebre, The Problem of Cell 13, del 1907. 


Tutti gli altri hanno preso 3 voti e si trovano perciò nella stessa posizione. C’è innanzitutto Chesterton con The Invisible Man, apparso nel 1911 nel meraviglioso The Innocence of Father Brown. Il fatto che Chesterton non si trovi al primo posto con una infinita distanza sugli altri è piuttosto discutibile (per me, francamente, è inaccettabile), mentre sul titolo si può fare dell’accademia: io ne preferisco altri, ma The Invisible Man resta un racconto superlativo e una pietra miliare del ‘900, e tanto basta.
Successivamente troviamo, giustamente, il grande Melville Davisson Post, uno dei più grandi narratori di quella che Symons chiama First Golden Age (quella del racconto breve), con Naboth’s Nineyard. Poi ancora vi è uno scritto estremamente celebre: The Gioconda Smile, scritto al principio degli anni Venti da Aldous Huxley. Se il racconto merita o meno la citazione è difficile dirlo; un certo peso potrebbe averlo avuto il film apparso nel 1947, diretto da Zoltan Korda.
Per concludere la lista ci sono: il grande H. C. Bailey con The Yellow Slugs, del 1935 (si sa, Bailey è molto amato, comprensibilmente, da Queen); poi, stranamente, abbiamo un tardo Bentley, The Genuine Tabard, del 1938, e infine lo splendido Suspicion (Sospetto) di Dorothy L. Sayers, del 1933. 
Una lista variegata, di dodici scrittori diversi, che hanno lasciato, chi più chi meno, un’impronta nella storia del mystery. Certo, non appaiono Richard Austin Freeman, Agatha Christie, John Dickson Carr e lo stesso Ellery Queen. Qualche domanda, serenamente, ce la possiamo porre.

lunedì 22 settembre 2014

The Gemminy Crickets Case (o Murder Game, La calda nebbia bianca, 1968) - Christianna Brand



Christianna Brand è uno dei grandi nomi della storia del mystery britannico. Dotata di grande senso dell’umorismo e spiccate capacità nel dipingere i caratteri degli amici scrittori - celebri le sue descrizioni della Sayers o di Carr - esordisce nel 1941, con il romanzo Death in High Heels, tradotto in italiano con La morte ha i tacchi alti. Non è di certo un’autrice prolifica, ma alcuni dei suoi romanzi coincidono con il punto più alto raggiunto dal tardo autunno della Golden Age
Tuttavia il capolavoro della Brand è probabilmente questo racconto breve, scritto originariamente nel 1968 e tradotto in Italia da Tina Honsel nel 1977, nel volume Autunno Giallo.  Mauro Boncompagni lo ha giustamente riproposto nel 2012 all’interno della raccolta I detective dell’impossibile, lo Speciale Giallo Mondadori numero 69.
The Gemminy Crickets Case non è solamente una camera chiusa tra le più straordinarie di sempre, ma è anche uno dei più incredibili e diabolici esempi di misdirection della storia del mystery, in cui la Brand dispiega tutto il proprio genio. L’intreccio, apparentemente una camera chiusa di stampo tradizionale, è in realtà un trionfo di subplots, indizi e false piste  che fanno semplicemente girare la testa. 
Tuttavia le fila della storia non si disperdono: la Brand opta per uno stile vagheggiato e dai contorni sfocati che si amalgama perfettamente alla storia, un magistrale esempio di sfida al lettore, in cui nulla è quello che sembra. L’intreccio è così elaborato e machiavellico che le soluzioni sono diverse, una più complessa e sorprendente dell'altra. Come ha giustamente sostenuto Boncompagni, la Brand ha pochi rivali nella costruzione di una trama, ma in questo caso supera se stessa: per quanto breve, questo racconto è un eccitante tour de force, un continuo susseguirsi di colpi di scena, in cui accade tutto e il contrario di tutto, capace di concludersi con un colpo di teatro di altissima scuola.
La scrittrice britannica dimostra di conoscere perfettamente i maestri del genere: Zangwill, Leroux, Queen e Carr sono  stati assorbiti e le loro idee vengono così variate con abilità disarmante. Alla base vi sono, a mio parere, Il mistero della camera gialla di Leroux e The Shadow of the Goat, la prima avventura di Bencolin scritta da Carr nel lontano 1926. Ma parlare di modelli è pura accademia.
Boncompagni, nell'introduzione al volume sopra citato, definisce questo racconto «il più originale e imprevedibile che sia mai uscito dalla penna della Brand. Così originale e imprevedibile che il fatto di essere un mistero della camera chiusa è solo uno dei suoi tanti elementi di fascino». Secondo me è molto importante questa frase, perché spezza l’equivoco secondo cui quest'opera, meravigliosamente scritta e ideata, sia solo un trionfo di ingegnosità. E’ davvero molto, molto di più. 
Il titolo italiano si riferisce all’offuscata mente dell’omicida, ma convince poco. 

giovedì 11 settembre 2014

Il canone holmesiano - Parte 2


La quadratura del cerchio per Conan Doyle arriva solamente con il racconto breve. Le feroci difficoltà incontrate nella forma romanzo scompaiono di fronte alla strabiliante capacità di sintesi dello scrittore di Edimburgo: limpidi e coerenti strutturalmente, i racconti appaiono inizialmente nell'agosto del 1891, a partire dal celebre A Scandal in Bohemia, e vengono riuniti in volume l'anno seguente. Il testo, dal titolo The Adventures of Sherlock Holmes, è il primo notevole contributo dell'autore alla narrativa poliziesca.

Le Avventure di Sherlock Holmes (1892)

Secondo alcuni il capolavoro assoluto dell'autore, secondo altri solo il primo tassello di un grande puzzle, questo volume di storie brevi rimane di ottima fattura nonostante l'età. Le opere non sono certamente trionfi di plot, ma nascondono all'interno tantissimi e gustosissimi motivi d'interesse: una meravigliosa e sottile evocazione dell'Inghilterra rurale del tempo, popolata da eccentrici gentiluomini (come Holmes e Watson), donne in pericolo, bizzarri capi di stato e furbi mascalzoni di ogni genere. Vere commedie di costume, queste brevi opere restituiscono tutta la bellezza e la genuinità della Londra del tempo, dei suoi abitanti, dei suoi usi e costumi, raccontati con brio e piglio narrativo, dosando meticolosamente ogni parola. L'autore mostra di voler variare molto i propri intrecci e le proprie ambientazioni, e lo fa con bravura, nonostante questo significhi trascurare l'elemento "enigma”.

A Scandal in Bohemia (Uno scandalo in Boemia)

Il principe ereditario di Boemia si presenta in incognito a Londra per affidare a Holmes il compito di recuperare delle foto compromettenti che lo ritraggono con Irene Adler, donna di spettacolo e avventuriera, che desidera renderle pubbliche per impedirne il matrimonio. Il primo e forse più celebre racconto di Doyle è in buona parte speculazione. Incentrato sul personaggio di Irene Adler, o "La Donna" come la chiamerà Holmes, che subisce qui una delle sue rare ma cocenti sconfitte, il racconto si legge con piacere, ma la storia ha poco carattere, alcuni personaggi appaiono decisamente macchiettisti (il principe di Boemia) e Holmes fatica ad entrare nella parte. 
Al di là delle banali deduzioni iniziali il suo raziocinio offre pochi spunti divertenti, e anche il trucco per far uscire fuori la foto dalla casa è decisamente telefonato. Non mancano momenti di genuina comicità (Holmes che finge di essere stato ferito o viene scelto come testimone di nozze), ma non bastano. Parlo di speculazione a causa dello sfruttamento, negli apocrifi e al cinema, del personaggio di Irene Adler, che invece non comparirà più in Doyle.

The Adventure of Red-Headed League (La lega dai capelli rossi)

Nel 1999 La Lega dei Capelli Rossi si è classificata seconda (dietro a L'avventura della fascia maculata) in un sondaggio che ha coinvolto molti appassionati e studiosi delle opere relative all'immaginario holmesiano. La motivazione mi è oscura. 
La struttura, quella di un lavoro apparentemente bizzarro e assurdo richiesto ad un personaggio che poi finirà nei guai, è quella caratterizza un buon 60% dei racconti di Doyle, ma qui è sfruttata con debolezza e senza immaginazione. La truffa alla base del misfatto è prevedibile, mentre la suspense è totalmente assente. In assoluto, uno dei più deboli di tutta la raccolta.

A Case of Identity (Un caso di identità)

Questo è un caso peculiare di Conan Doyle, che contiene, in germe, molti caratteri tipici: una vicenda bizzarra, una sparizione misteriosa, una ragazza indifesa ingannata, un villain incapace di rinunciare ai soldi e i travestimenti. Una giovane ereditiera, Mary Sutherland, si presenta da Holmes pregandolo di indagare sulla improvvisa scomparsa del promesso sposo, Hosmer Angel, svanito nel momento in cui si stavano recando in chiesa per sposarsi. 
La soluzione è debole, i travestimenti del villain decisamente ridicoli e la miopia della ragazza su chi si trova di fronte oltre i limiti dell'assurdo. Ma nonostante tutto la storia è godibile, e Holmes, che se la ride sotto i baffi dall'inizio alla fine (povera ragazza!) è in discreta forma.

The Boscombe Valley Mystery (Il mistero di Boscombe Valley)

Un vecchio proprietario terriero, il signor McCarthy, tornato da molti anni dall'Australia, viene uccisoin riva a un laghetto. Tutte le testimonianze indicano come colpevole il figlio della vittima, ma Holmes riuscirà a provare la sua innocenza. 
Il primo delitto della raccolta coincide con uno dei suoi racconti migliori, dalle tinte fosche e pesanti.  Uno studio in rosso è ancora vicino ( residenti delle colonie dal passato misterioso che regolano vecchi conti) ma l'enigma è solido, gli espedienti e la tensione reggono perfettamente e la soluzione, l'unica possibile, convince più di altre occasioni. Certo gli indizi sono piuttosto labili (soprattutto la frase del morente), ma nel complesso è un ottimo prodotto.





The Five Orange Pips (I cinque semi d'arancio)

Il giovane John Openshaw è in difficoltà: lo zio Elias, rientrato dagli Stati Uniti alla fine della Guerra di secessione americana causa disaccordo con l’abolizione della schiavitù, è morto dopo aver ricevutouna misteriosa busta spedita dall’India contenente cinque semi d’arancio e le lettere KKK in inchiostro rosso. Il padre ha fatto la medesima fine. 
Cosa si cela dietro questo mistero è ben comprensibile a pagina 0 oggi che la sigla KKK è conosciuta da chiunque. Anche passando sopra a questo, il racconto rimane il più insensato dell'intera opera: l'intreccio è mal ideato e il finale, che ricorre ad una finissima vendetta della provvidenza, assolutamente deludente. Holmes si limita ad aprire l'enciclopedia e lasciar uscire di casa un uomo che verrà ucciso cinque minuti dopo.

The Man with the Twisted Lip (L'uomo dal labbro spaccato)

Neville St. Clair, onesto e benestante cittadino, si reca una nella City per affari. La moglie, durante una passeggiata mattutina in città, lo vede da una finestra mentre ha un'espressione agghiacciante sul viso, come se lui la invitasse disperatamente a salire. La donna si precipita nel locale ma trova solo il proprietario e un barbone. All'arrivo della polizia, vengono trovati i vestiti dello scomparso e alcune chiazze di sangue sulla finestra, mentre nel Tamigi si rinviene un cappotto pieno di penny. Il barbone, Hugh Boone, piuttosto conosciuto in zona per le sue fattezze bizzarre, per lo sporco ma anche per la battuta sempre pronta, viene portato in cella e così la moglie di Neville si rivolge a Holmes. L'idea alla base di questa scomparsa misteriosa è assolutamente ingegnosa, ma la sola idea che un mendicante guadagni così tanto solo perché in grado di far battute è francamente complicata da accettare. Nonostante ciò il racconto è gradevole, e il prologo, in cui Watson incontra Holmes in una fumeria d'oppio, quasi spassoso.

The Adventure of Blue Carbuncle (L'avventura del carbonchio azzurro)

Holmes trova, all'interno di un oca, un meraviglioso diamante azzurro rubato qualche tempo prima. Così tenta di scovare il colpevole proprio ripercorrendo il percorso dell'animale, dall'allevamento alla macellazione. 
La componente "gialla" è nulla, ma il racconto offre una splendida rappresentazione della Londra popolare, con i suoi sobborghi e i suoi bottegai, resa dall'autore con verve e qualità narrativa. Ruvido, ma delizioso.

The Adventure of Speckled Band (L'avventura della banda maculata)

La prima vera camera chiusa ordita da Conan Doyle coincide anche con uno dei racconti più riusciti di questa raccolta. La trama è ben congegnata, gli indizi per una volta abbondano e il ritmo è incalzante, carico di pathos e di tensione. L'intreccio è noto a tutti ed è superfluo raccontarlo.  
Per quanto riguarda la camera chiusa in sé, il trucco escogitato dal cattivo di turno (stavolta davvero spregevole e di grande impatto) è diabolico, ma la soluzione è una scopiazzata a Poe nemmeno troppo velata. Nel complesso, il modus operandi è un po' troppo machiavellico, gli indizi sono fin troppo rivelatori e non mancano alcune incongruenze (l'espediente del finto campanello e il fatto che nessun medico abbia notato, nel corpo di Julia, i due piccolissimi fori), ma Conan Doyle sa il fatto suo e si vede.

The Adventure of the Engineer's Thumb (L'avventura del pollice dell'ingegnere)

Racconto bizzarro, che si muove sulla stessa linea de La lega dei capelli rossi: il protagonista convinto dal denaro a compiere lavori bislacchi che finisce per rischiare la vita. Ci sono svariate assurdità di sceneggiatura (incomprensibile come il protagonista rimanga vivo, e anche la scusa dell'incendio non regge, né il fatto che sia stato trasportato dalla donna che cercava di mandarlo via), ma qualche sprazzo di tensione ravviva il tutto e lo rende piacevole. Resta comunque un racconto zoppicante, dove Holmes non fa sostanzialmente nulla e il finale delude. Bisogna accettare inoltre la natura un po' naïf ed ingenua di molti personaggi di questa raccolta, soprattutto i cattivi, che spesso ne hanno le fattezze fisiche ma non il cervello e la forza.

The Adventure of the Noble Bachelor (L'avventura del nobile scapolo)

Il racconto, in cui Holmes indaga ancora sulla scomparsa di una moglie nel giorno del matrimonio, offre pochi spunti di interesse: la storia in sé è zeppa di assurdità, il mistero è prevedibile, i personaggi piuttosto scialbi e dall'intelligenza tutt'altro che spiccata, mentre il finale, con tutti riuniti a casa Holmes, quantomeno ridicolo, con la ragazza che chiede scusa e il nobile che se ne va rassegnato. Non giovano certo i toni da commedia, per una breve operetta che si dimentica facilmente.

The Adventure of the Beryl Coronet (L'avventura del diadema di berilli)

L'intreccio, basato sul furto di tre berilli incastonato in un diadema, è semplice ma ingegnoso. Peccato perciò per le mille ingenuità: i personaggi sono troppo feuilletoneschi, la polizia si dimostra totalmente inabile nel fare qualsiasi cosa e anche Holmes compie azioni di rara stupidità. Partendo da questo fatto, la storia scorre via non senza una piacevole adrenalina di fondo e la soluzione della storia, al di là delle imperfezioni, non è male. 

The Adventure of the Copper Beeches (L'avventura dei faggi rossi)

Capolavoro! Inutile perdersi nella trama di un meraviglioso gioiello di suspense, dove un Doyle al meglio di se stesso unisce l'imprevedibilità della trama e della conclusione ad un ritmo forsennato, capace di tenere con il fiato sospeso fino alla fine. Ambientazione da brivido, situazioni apparentemente inspiegabili e tensione vertiginosa: il primo passo verso Il mastino dei Baskerville è proprio questo.

sabato 6 settembre 2014

Jonathan Creek - Stagione 1 (1997)




Abbiamo già parlato della serie tv Jonathan Creek, ideata da David Renwick e imperniata su camere chiuse e delitti impossibili. Oggi analizzeremo brevemente i cinque straordinari episodi che compongono la prima stagione, sfortunatamente ancora inedita in Italia (e tale rimarrà, temo). Accanto esprimerò una valutazione personale, da * a ***** stelle, la stessa utilizzata da Roland Lacourbe nel suo 1001 Chambres Closes - Annexes.

1 The Wrestler's Tomb  90' ****
   
Un bizzarro, e poco fedele, artista viene trovato ucciso nel proprio appartamento, con accanto una modella legata e imbavagliata. L'ipotesi più probabile sembrerebbe portare alla moglie dell'artista come colpevole, se solo non fosse rimasta tutta la mattina nel proprio studio, in una stanza continuamente tenuta sotto osservazione...
L'esordio di Jonathan Creek, giovane assistente di un illusionista e detective dilettante, è assolutamente geniale. L'enigma presentato è notevole e la soluzione una delle più tortuose, machiavelliche e sorprendenti di tutta la prima serie. 
Nel complesso, essendo anche un pilota, la narrazione è meno frizzante del solito e l'ora e mezza di durata probabilmente appesantisce la visione, che però dal punto di vista intellettuale resta eccellente.
voto Lacourbe ****

2 Jack in the Box  60' *****

Per l'analisi di questo capolavoro rimando al post ad esso dedicato, risalente a poco tempo fa. L'episodio non ha il brio di Danse Macabre né particolare respiro narrativo, ma rimane, a mio parere, uno dei più strabilianti delitti impossibili mai ideati nel dopoguerra.
voto Lacourbe ***

3 The Reconstituted Corpse  60' ****

L'omicidio di Zola Zbzewski, uccisa in un modo che rimanda per certi versi al superbo The Judas Window di Carr, non è propriamente una camera chiusa, perché l'assassinio viene mostrato in tempo reale durante l'episodio. La reale situazione impossibile presentata vede invece una apparizione improvvisa di un cadavere all'interno di un armadio. Quest'ultimo, inizialmente vuoto, viene trasportato per le scale dal piano terra al quarto piano di un appartamento. Ma nel momento in cui viene aperto, c'è un cadavere..
Il terzo episodio è un'altra spettacolare dimostrazione di ingegno e fantasia: problema intrigante e soluzione semplice, logica e coerente. Peccato solo che l'enigma occupi una piccola parte dell'episodio.
voto Lacourbe *****

4 No Trace of Tracy  60' ****

Tracy, una ragazzina amante della musica rock anni 70', fa visita al suo idolo, il cantante Roy Pilgrim, nella sua villa in città: sebbene sia stata vista entrare nell'ingresso da un gruppo di coetanei che la stanno scrutando dall'esterno, la ragazzina scompare nel nulla. In quella medesima stanza d'ingresso c'è però proprio Pilgrim, che era appena stato derubato e legato a un termosifone. Egli afferma di non aver visto entrare nessuno, e di essere rimasto cosciente per tutto il tempo.
Renwick si cimenta con uno dei grandi classici del mistero impossibile, l'uomo che entra in una stanza e poi scompare nel nulla, resa celebre da Conan Doyle prima e da tanti altri maestri poi, tra cui Ellery Queen. Lo fa con il solito genio: a partire da un indizio astuto (due bizzarri amplificatori della stanza che si sono scoloriti nei punti sbagliati), confeziona una soluzione diabolica, anche se un filo tortuosa e di difficilissima realizzazione.
voto Lacourbe *****

5 The House of Monkeys  60'  ****

Un famoso medico viene trovato ucciso, trapassato da una spada da samurai, nel proprio studio, ovviamente chiuso dall'interno. L'enigma è semplice, e la soluzione non è particolarmente innovativa (mescola quella di The Red Widow Murders di Carr a The Locked Room, sempre del maestro, a sua volta influenzato da Leroux nel Mistero della camera gialla), ma l'episodio è ugualmente eccellente. Divertente e frizzante, si regge su una solida sceneggiatura e soprattutto contiene almeno un paio di indizi da manuale del poliziesco: alcune impronte sulla libreria, dei volumi lanciati senza motivo attraverso la stanza e la particolare posizione della spada. Assolutamente imperdibile.
voto Lacourbe ***