martedì 19 agosto 2014

The Canary Murder Case (La canarina assassinata, 1927) - S. S. Van Dine



Quando vengono avvicinati nella stessa frase le parole “fondamentale” e “romanzo poliziesco”, il risultato non può che essere S. S. Van Dine, The Canary Murder Case
Pubblicato nel 1927, è la magistrale affermazione del suo autore come il più geniale del decennio americano, e, come ha ben scritto Piero de Palma, il trionfo della deduzione e dell’erudizione di Philo Vance. La canarina assassinata distrugge ogni record di vendite e diviene in breve tempo il testo modello, un’opera capitale allo stesso livello di un Poe o di un Conan Doyle. Sotto ogni punto di vista, da quello stilistico a quello tecnico, è uno shock.
Abbiamo già parlato mesi fa dell’esordio di Van Dine, il mediocre The Benson Murder Case, maldestramente ideato, appesantito, tristemente invecchiato. La canarina assassinata no. Per quanto i meccanismi sperimentati dall’autore, certi dettagli, la misdirection unita all’acume deduttivo del suo deus ex machina siano stati in seguito riproposti sino allo sfinimento dai suoi imitatori, la macchina letteraria avviata da Van Dine rasenta, per il suo tempo, la perfezione. 
E anche in seguito se ci sarebbero stati scrittori più grandi di lui (John Dickson Carr e Ellery Queen), nessuno di loro avrebbe mai potuto pensare di primeggiare se prima non fosse apparso sulla scena letteraria quel bizzarro e meraviglioso dandy che all’anagrafe fa Willard Huntington Wright. 


ll cambio di marcia rispetto al romanzo precedente è strabiliante: lo scrittore snellisce le frequenti digressioni del suo Vance, concepisce un’enigma poliziesco finalmente solido, pieno di tasselli complessi ma non complicati, ruotando personaggi del bel mondo newyorkese che appaiono ben strutturati, credibili. E se il rapporto tra Vance e il procuratore distrettuale Markham è ancora stonante, Van Dine si accorge giustamente di dover dare vita propria all’investigazione del suo dandy dilettante, slegandolo dal cordone dell’amico e costringendolo a condurre una indagine personale. Nonostante la densità della prosa, il romanzo si legge ancora con straordinaria leggerezza e gustoso brio, senza pause né momenti di stallo.
La canarina del romanzo è Margaret Odell, una delle più celebri e chiacchierate ballerine del suo tempo, trovata strangolata brutalmente nel proprio appartamento. 
Ciò che appare più bizzarro è il modo in cui l’assassino può essere uscito dall’abitazione: non solo la porta d’ingresso è chiusa dall’interno, ma quella laterale del palazzo è come sempre stata sprangata dal portiere, intorno alle 18 di quel pomeriggio. 
Quest’ultimo dichiara che la sera del delitto, la canarina è uscita e poi rientrata con un uomo, un suo accompagnatore abituale, Spotswoode. I due sono tornati in tarda serata, lui è rimasto nella casa per una mezz’ora circa e poi è uscito, ha fatto due chiacchiere con il portiere e mentre stava per andarsene ha sentito un urlo della ragazza provenire dalla sua abitazione. Spotswoode e il portiere hanno chiesto cosa fosse successo, ma la canarina ha immediatamente risposto che tutto andava bene, e non dovevano preoccuparsi. Da quel momento nessuno è più entrato o uscito, ma la mattina dopo il cadavere della ballerina stava ad indicare un delitto, apparentemente impossibile.


L’intreccio, che ho qui semplicemente abbozzato, è ben più complesso, pieno di sottili indizi in cui Van Dine dimostra quella raffinatezza cerebrale che in pochi erediteranno.
Il processo deduttivo di Vance, il quale è molto più in difficoltà rispetto all’elementare caso Benson, è di pregevole fattura e rappresenta una delle maggiori innovazioni del testo. Chirurgico, perentorio, privo di quella eccessiva e ridondante fede nei comportamenti umani, Vance è costretto a far fronte anche a indizi materiali e contraddittori come un portagioie scassinato da due persone diverse, ma alla fine riuscirà a dipingere un quadro della vicenda perfetto, privo di sbavature o macchie. 
Lo scioglimento del meccanismo della camera chiusa è astuto (deve qualcosa a Edgar Wallace, ma è comunque in anticipo sui tempi), ma sono le altre sue deduzioni a stupire, in particolare quelle che si fondano su dettagli materiali e non psicologici (la posizione del cadavere, i vestiti strappati, il portagioie, il grammofono). Con questo non voglio dire che gli indizi comportamentali siano meno importanti rispetto al solito, perché sarebbe falso. La partita a poker che nel finale servirà a Vance, che si muove sempre per esclusione, a capire chi sia il colpevole, colpisce e sorprende. Benché giochino una partita a Stud (almeno così mi è sembrato), alcune sottigliezze del poker moderno (che non è solo Holdem, ovviamente) vengono abilmente messe in luce dall’autore, anche se non citate, come la polarizzazione o il bluffcatching. 
Una partita credibile, dunque, che chiude un romanzo quasi perfetto. Quasi, ovviamente, perché qualche assurdità nel comportamento della polizia, al fine di risaltare le qualità dell'investigatore, è palese, e rimane qualche deduzione forzata a partire dalla psicologia dei personaggi.
Alla fine Vance capirà anche che trucco ha usato l’assassino per uscire dalla stanza chiusa, ma lo farà fortuitamente, per puro caso, aiutato dalla dea bendata e dalla sua passione per la musica classica. In fondo non era stato mica Van Dine a postulare, tra le sue regole, l’impossibilità per il detective di arrivare in modo casuale alla soluzione, o no?
L’assassino, che è il perfetto superuomo vandiniano, deve aver dato più di qualche idea a Woody Allen che ne riprende personalità e movente in Crimini e misfatti(1989) e Match Point (2005). 
Nonostante La canarina assassinata non possieda le inebrianti venature bizzarre di un Queen o le manifestazioni di inventiva di un Carr, rimane una pietra miliare e uno dei più riusciti gialli del decennio. Questo non basterà, certamente, a Van Dine, che nelle due successive performance supererà se stesso, con i superlativi The Green Murder Case (1928) e The Bishop Murder Case (1928).

domenica 17 agosto 2014

Chambres Closes Crimes Impossibles - a cura di M. Soupart, P. Fooz, V. Bourgeois, 1997



Questo volume, pubblicato nel 1997 ma di difficile reperibilità oggi sul mercato, è la risposta francese al testo Locked Room Murders di Robert Adey, del 1991. Le posizioni espresse dai tre curatori, Soupart, Fooz e Bourgeois, confluiranno, insieme a quelle di Lacourbe, nel primo tomo del recente 1001 Chambres Closes, di cui ci siamo occupati non molto tempo fa. 
Ciò che maggiormente separa Chambres Closes, Crimes Impossibles dai testi apparsi cronologicamente prima di lui, è l’introduzione del criterio valutativo, delle cosiddette stelline (da * a **** in questo caso, con i simboli + o - a indicare dei mezzi punti), che non c’erano né in Lacourbe né in Adey. 
La cosa che più interessa analizzando questo testo è comprendere quali siano le differenze di pensiero che dividono Lacourbe dai tre belgi. Infatti, in 1001 Chambres Closes, curato da tutti e quattro, le varie opinioni si amalgamano felicemente, ma non senza qualche attrito.
Per farla breve, studiando 99 Chambres Closes, del 1991, o Mysterès à huis clos, del 2007, possiamo individuare le preferenze di Lacourbe, mentre in questo Chambres Closes, Crimes Impossibles, del 1997, troviamo il pensiero di Soupart, Fooz e Bourgeois, non mediato dall’opinione altrui. 
Iniziamo dicendo che il testo - che analizza oltre 750 tra romanzi, racconti, film, serie tv etc, tutti pubblicati in Francia - è molto interessante, perché presenta un abbozzo di trama, opinione, voto e soluzione per ogni opera selezionata. Ovviamente, facendo riferimento solo a testi che sono stati tradotti in francese, si nota la mancanza di qualche Carr, Rawson, Talbot, qualcosa di Chesterton o Commings e così via, ma nel complesso la vastità di materiale è invidiabile. 


Se andiamo a ben vedere, le differenze tra Lacourbe e i suoi amici belgi sono molte di più di quanto ci si potrebbe aspettare. Qui sotto ne elencherò alcune delle più vistose:
  • La passione di Soupart, Fooz e Bourgeois per Paul Halter va al di là di qualsiasi altra cosa ed è decisamente una delle poche note stonate del volume. Non è possibile che Halter abbia voti più alti di Carr, e non è ammissibile che ogni suo romanzo (persino La maledizione di Barbarossa!) sia recensito col massimo dei voti. Fortunatamente, almeno in parte, l’intervento di Lacourbe ha ridimensionato tali testi, nel recente 1001 Chambres Closes (vol. 1).
  • Il fervore per Halter non dipende da quello che potremmo definire sciovinismo francese. Infatti alcuni autori della French Golden Age non godono degli stessi straordinari elogi dispensati da Lacourbe. Uno su tutti il grande Noel Vindry: se da una parte egli è celebrato come grandioso inventore di enigmi, dall’altra vengono spesso messe in risalto certe sue imperfezioni stilistiche. Non a caso solo La bête urlante ha il massimo dei voti.
  • Rispetto a Lacourbe, inoltre, i tre belgi spendono parole al miele per S. S. Van Dine (The Canary Murder Case, soprattutto), Clayton Rawson (Off the Face of the Earth e From Another World hanno la massima valutazione), Virgil Markham (The Devil Drives) e Leo Perutz (Il maestro del giudizio universale); danno ***+ a It Walks by Night di Carr (molto criticato invece dallo studioso francese) e appaiono al contrario decisamente più cauti su Chesterton, Clifford Orr (The Wailing Rock Murders ha *!), Jean Alessandrini e Anthony Abbot. Infine conservano piccolissime riserve su Peter Dickinson e Randall Garret, per citare due autori molto amati da Lacourbe.

Insomma, è chiaro che queste considerazioni sono semplicemente abbozzate, ma indicano quantomeno che le differenze di pensiero tra i quattro studiosi sono evidenti. Sarebbe stato sicuramente istruttivo assistere alle varie discussioni precedenti alla definitiva redazione di 1001 Chambres Closes!

venerdì 15 agosto 2014

The Maze (Persons Unknown, Il labirinto, 1932) - Philip MacDonald



Philip MacDonald, uno dei grandi rivoluzionari del poliziesco anglosassone, ha sperimentato ogni angolatura del mystery, ne ha scandagliato gli schemi per innovarne le strutture chiave e le consuetudini. 
Abbiamo già parlato di lui nel post dedicato al suo esordio, The Rasp (Campana a morto, 1924). Con questo The Maze, conosciuto anche come Persons Unknown, pubblicato nel 1932, lo scrittore inglese porta alle estreme conseguenze il palinsesto del whodunit, che arriva ad una sorta di punto di non ritorno. Il romanzo a enigma, basato sul puzzle e sul gioco leale tra lettore e scrittore, diviene ludico intrattenimento, per una sfida al lettore totalizzante ed eccitante. Non ci sono abbellimenti stilistici in questo romanzo, né descrizioni o caratterizzazioni dei personaggi, ma solamente l’intera serie di deposizioni in tribunale, la nuda e cruda versione dei fatti, esposta progressivamente dalle varie parti in causa. Nell'introduzione dice:
«Ho dato a questo libro il sottotitolo di un esercizio di investigazione. Ho voluto usare la parola esercizio deliberatamente , volendo intendere con ciò un'esercitazione non solo da parte mia, ma anche da parte di qualunque lettore che abbia la costanza di arrivare fino in fondo. Nelle parti seconda, terza e quarta del libro [...] sono contenute tutte le informazioni su cui Gethryn ha lavorato in seguito». 
Mai come in questo caso il lettore si trova sullo stesso piano dell’investigatore, un Gethryn vacanziero, a cui viene spedito l’intero riassunto delle deposizioni, nella speranza che lui possa trovare qualcosa dove gli altri vedono solo del buio. MacDonald critica aspramente «i libri in cui l'investigatore può avere un ingiusto vantaggio su chi legge [...] Questa è una storia leale», scrive.
L’intreccio, semplice e lineare, rispetta tutti i canoni della detection classica: Maxwell Brunton, fascinoso uomo d'affari ma dal carattere piuttosto complicato, viene ritrovato cadavere nel suo studio, ucciso con un'arma contundente, probabilmente a seguito di un litigio. La maggior parte degli ospiti della casa aveva un valido movente per uccidere: il segretario e il maggiordomo testimoniano gli screzi familiari, la moglie la sua continua infedeltà coniugale, la cameriera ammette di aver visto l'amica della moglie di Brunton entrare nello studio della vittima durante la notte. Ma Brunton era anche molto ricco e i suoi soldi potevano far gola a tanti..


In questo romanzo-rompicapo abbondano, come vuole la tradizione, sospettati, indizi, false piste, testimonianze vere e fasulle, ma nonostante l’apparente lentezza, il sublime senso del ritmo di MacDonald rende la narrazione leggerissima, scorrevole e incalzante, come se esistesse una sottile e impercettibile variazione di tono che solo lo scrittore inglese è in grado di ricreare. 
Negli anni del Cluedo, dei giochi in scatola e del romanzo-cruciverba (come era definito dai suoi detrattori), MacDonald sceglie di mostrare cosa sia davvero il puro rompicapo enigmistico applicato ad un testo letterario: un appassionante indovinello che stuzzica la mente di ogni lettore, un enorme labirinto da cui si tenta di fuggire, con in premio, magari, la soddisfazione di arrivare alla soluzione prima di tutti. 
Non sono molte le falle concrete nelle testimonianze dei personaggi, e bisogna stare molto accorti per riuscire a individuare la crepa fondamentale. A partire da ciò si sviluppa l’ottima ragionamento analitico di Gethryn, che fondando le proprie deduzioni sulle quattro stranezze della vicenda, individua l’identità dell’assassino, nonostante le prove per incastrarlo non esistano. 
Non mancano alcune forzature psicologiche del detective (soprattutto riguardo i comportamenti umani, di vandiniana memoria) ma nel complesso il gioco è perfettamente leale, e la soluzione di grande spettacolarità. 
The Maze è la maggior espressione del whodunit come puro godimento intellettuale, come gioco ad armi pari. Ed è un piacevole invito agli scrittori del tempo a mischiare nuovamente le carte, a ribaltare gli schemi, a muovere le pedine, per andare avanti.
In Italia è stato tradotto da Marilena Caselli, e pubblicato il 7 dicembre 1993, nel numero 701 dei Classici del Giallo Mondadori.

martedì 12 agosto 2014

About the Murder of Geraldine Foster (Sette piccioni sporchi di sangue, o L'omicidio di Geraldine Foster, 1930) - Anthony Abbot






Charles Fulton Oursler, in arte Anthony Abbot, è uno dei grandi vandiniani di inizio anni Trenta, coloro che, negli Stati Uniti, iniziano a scrivere romanzi polizieschi sulla scia dello straordinario successo ottenuto dalle avventure di Philo Vance, il detective dilettante di S. S. Van Dine. Abbot, che tra il 1930 e il 1943 pubblica sette eccellenti titoli, è stato riscoperto in Italia solo nel 2005: grazie alle traduzioni di Igor Longo, Mondadori ha pubblicato il suo intero corpus letterario, a partire dal suo esordio, questo L'omicidio di Geraldine Foster. Polillo lo ha riproposto qualche mese fa, modificando il titolo in Sette piccioni sporchi di sangue, facendo sì che questo piccolo gioiello possa essere sempre disponibile in libreria.
Iniziamo con il dire che Abbot non è un vandiniano puro come Queen o Daly King: il suo personaggio principale non è uno snob dilettante, bensì il carismatico ma dotto Tatcher Colt, capo della polizia di New York; il suo stile non è per nulla artificioso e magniloquente come quello del suo maestro, ma più diretto e pragmatico; l'ambientazione non rimane ancorata solo agli strati più alti della società newyorkese e, infine, il metodo investigativo di Colt è a tratti quasi da police procedural, lontano dai tortuosi psicologismi di Vance. La città americana ha più sfaccettature rispetto a quella di Van Dine, la Grande Depressione è un fantasma implacabile e suoi effetti, soprattutto sui più giovani, emergono con sottile efficacia.
Ma, nel complesso, le affinità con Van Dine sono di gran lunga superiori alle differenze: c'è sempre il narratore che è anche l'autore del romanzo (Abbot è il segretario di Colt come Van Dine lo è di Vance), vi è una trama complessa e intrigante, svariati sospettati appartenenti all'alta borghesia, una soluzione sorprendente e un detective eccentrico e accentratore. Se da una parte Abbot rimarca più volte (forse anche troppe) la presunta assurdità del personaggio del "genio dilettante" - nella prefazione afferma che i delitti più complessi vengono risolti solamente da poliziotti professionisti - dall'altra regala al suo Tatcher Colt delle caratteristiche da vero vandiniano: elegantissimo, possiede una biblioteca di oltre quindicimila volumi, scrive poesie, ha nozioni scientifiche straordinarie, conosce la storia della criminologia meglio di Holmes ed è in grado di compiere veri e propri miracoli deduttivi. Inoltre tra Colt e il procuratore distrettuale, si nota lo stesso rapporto di stima-odio che c'è tra Vance e Markham. 





Che Abbot sia un grande scrittore si nota immediatamente in questo esordio pieno di pathos e tensione, in cui Colt indaga sulla morte di Geraldine Foster, impiegata, trovata orrendamente mutilata e seppellita nuda in una fossa nei pressi di una casa isolata, fuori città.
Scritto e ideato magistralmente, il romanzo scorre freneticamente fino alla conclusione, rallentato a tratti solo dal (troppo) lungo interrogatorio di Colt al dottor Maskell, in cui si ricorre alla macchina della verità, al terzo grado e addirittura al siero della verità. Non fosse per queste sequenze, il romanzo non sarebbe invecchiato di un solo giorno dalla sua pubblicazione, perché la gestione del ritmo narrativo è esemplare e la prosa di Abbot appare concisa, scorrevole e incalzante. L'intreccio poliziesco, pur non essendo perfetto, presenta idee interessanti e indizi abili, come quello che spiega per quale motivo la ragazza è stata seppellita nuda. Abbot concede inusuale spazio (per l'epoca) alle prove materiali, ai particolari macabri e alle scene forti, divertendosi a citare numerosi casi delittuosi del passato (lo scrittore è un grande appassionato di criminologia), senza per questo lasciarsi sfuggire le fila della trama. Il colpevole, infine, freddo e coerente, è quanto più di vandiniano possa esserci al mondo, nonostante un movente decisamente troppo ardito.
Un grande esordio quello di Abbot, tessuto con ardore, dai toni drammatici ma umanissimi, pieno di false piste e sentieri intricati, retto da un sapiente senso del ritmo e da una vena narrativa di prim'ordine. Insomma, alta classe.


lunedì 11 agosto 2014

Agatha Christie e "Il corriere della sera": l'ennesima occasione persa




Dal 1 Agosto 20 romanzi della Christie usciranno in edicola, a 6.90€, con Il corriere della sera. Prima uscita Dieci Piccoli indiani, seconda Assassinio sull'Orient-Express. 

Copertine bellissime, ottima impaginazione, titoli interessanti.
Poi vai a guardare il traduttore di Orient-Express e leggi: Alfredo Pitta.
Non è possibile! Ma anche in libreria ormai ci sono le nuove traduzioni! Perché? Perché mi chiedo, i soliti, imbarazzanti, errori? Chi ci rimette sono sempre i lettori.
Una ennesima occasione persa.

domenica 3 agosto 2014

Evil Under the Sun (Corpi al sole, 1941) - Agatha Christie



Il ventesimo post di questo blog non poteva che essere dedicato alla ventesima avventura di una delle più grandi macchiette della storia della letteratura inglese, Hercule Poirot, e alla più geniale scrittrice del secolo scorso. 
In un clima - almeno in linea teorica - vacanziero, è bello consigliare, a chi non l’abbia mai letto, un vecchio classico della Regina, scritto in un periodo decisamente burrascoso, nel 1941, ma del tutto lontano dalle cupe atmosfere belliche
Si sa, gli investigatori a riposo si godono ben poco le tanto agognate vacanze, e il lettore, perfidamente, non può che esserne felice. Poirot si trova in Cornovaglia, in un’isoletta frequentata da personaggi altolocati, viziosi, prepotenti e subdoli. In una atmosfera solo apparentemente spensierata, il male si annida dove vuole, espresso, ancora una volta, nel torbido triangolo amoroso che tanto stuzzicava la Christie. 
Poirot, splendidamente vestito di bianco, risolverà senza troppa difficoltà l’assassinio di Arlena Marshall, strangolata in una spiaggia deserta in una calda mattinata estiva. 




E’ difficile leggere pagine scritte su Agatha Christie senza che la parola “banalità” vaghi nella vostra testa come un cavaliere errabondo. Corpi al sole, che circola in Italia ancora nell’unica traduzione firmata Tedeschi, è un perfido e cinico ritratto dell’alta nobiltà in vacanza, in cui l’autrice si diverte rimpolpando un vecchio racconto con Miss Marple, A Christmas Tragedy (Una tragedia natalizia), presente nella raccolta Miss Marple e i Tredici Problemi
Non sono particolarmente d’accordo con Barnard quando, nel suo saggio (in italiano tradotto con L’arte dell’inganno), definisce questo romanzo “leggermente poco caratterizzato”: in realtà il microcosmo creato dalla Christie è come sempre straordinario se preso nella sua totalità, ovvero nella relazione tra un personaggio e l'altro, mentre risulta meno convincente se ogni figura dell’opera viene analizzata singolarmente. 
Ovviamente Corpi al sole è anche un eccellente esempio di abilità tecnica, di gestione dell’intreccio e di disseminazione di indizi: la trama è ben congegnata e il twist finale è magistrale, concludendo un eccellente esempio di misdirection. Difficile, in ogni caso, arrivare alla soluzione prima di Poirot: il colpevole si può individuare, ma sul resto occorre una buona dose di intuizione.
Colpisce, inoltre, la freschezza di un’opera che si legge con inimitabile piacevolezza dopo oltre settant’anni dalla sua uscita, che scorre in una bollente giornata d’agosto come una birra gelata sotto l’ombrellone. Nonostante questo, la Christie non è una autrice da spiaggia: la sua ambiguità letteraria l'ha resa senza dubbio la scrittrice più oscura e peggio studiata del 900. Molti intellettuali hanno provato a scandagliare i meandri testuali dei suoi romanzi nella speranza di comprenderne il successo e la fortuna. La maggior parte di essi non ha fatto altro che riproporre le solite sciocchezze: scrittrice semplice, casalinga, capace di concepire solo pacata letteratura per famiglie. Ah e ovviamente Simenon è un’altra cosa! Nulla di più lontano dalla verità.
Si chiama Genio. E o ce l’hai, o non ce l’hai.
Corpi al sole non è di certo il miglior esempio di ciò, nonostante l’ottimo Nick Fuller lo definisca “assolutamente superbo, e uno dei tre o quattro migliori Christie di sempre”, ma nell’afa di una stanza, sinceramente, non saprei consigliare di meglio.
Da vedere anche la gustosa trasposizione cinematografica del 1982, col sempre grande Peter Ustinov nei panni di Poirot.



P.S. L’edizione italiana Mondadori circola spesso con prefazione e postfazione scritte da Claudio Savonuzzi: perfetti esempi di come la Christie non dovrebbe mai essere analizzata.
Buone vacanze!